La lapide sul luogo dell'eccidio del 6 gennaio 1980 in via Libertà |
“Sicilia:
nel buio degli anni ’80”.
E’ il testo dell’ultima intervista di Piersanti Mattarella, rilasciata a
Giovanni Pepi del Giornale di Sicilia. L’intervista venne trasmessa dal Telegiornale
di Sicilia la sera di sabato 5 gennaio 1980. Il testo qui riprodotto apparve
sul quotidiano palermitano lo stesso giorno in cui il Presidente della Regione
venne assassinato proprio su quel marciapiede di via Libertà dove tra poche ore
i palermitani si raduneranno per festeggiare il nuovo Presidente della
Repubblica.
Con l’elezione di Sergio Mattarella, che immediatamente raccolse
l’eredità culturale del politica del
fratello, quel tratto di strada, finora
onorato ogni anno nel giorno del lutto e nel ricordo del martirio, diventa oggi
pietra d’angolo del nuovo orgoglio dei siciliani e segno di una nuova speranza per l’intero
Paese.
Palermo, 6 gennaio
Prevedendo le cose
degli anni ‘80 si diceva: arriva il buio, comincia il peggio; parole così
frequenti da diventare trite. Ora, in Sicilia, la cronaca dei primi giorni
dell’anno dà ragione delle anticipazioni tristi. Il maltempo distrugge le
coste, miliardi di danni ed una Regione è costretta a risposte inadeguate. Poi
crisi internazionale sempre più acuta, il buco energetico si allarga,
l’inflazione cresce, possibilità di nuovi investimenti al Sud sempre minori,
disoccupazione sempre maggiore. Tra vuoti politici e duri fatti economici, il
peggio è davvero cominciato?
La profonda sintonia con l'Arcivescovo di Palermo Card. Salvatore Pappalardo |
L’intervista con
Piersanti Mattarella, presidente di una giunta di governo dimissionaria dal
successore incerto, non può che cominciare da qui.
«Il peggio è
cominciato. Il quadro internazionale è politicamente pesante, le conseguenze
economiche sono gravi principalmente per le aree depresse come il Mezzogiorno
d’Italia. Ma il peggio va affrontato. I nodi sono grossi. Spero di farcela e
presto».
Lo si può affrontare
con armi spuntate. A Roma il governo è immobile, in Sicilia la giunta è in
crisi. Poi si aggiungono pessimi segnali di volontà politica.
«Quali?».
L’altro giorno su un
quotidiano del Nord, proprio Antonio Gava, responsabile per la politica degli
enti locali della DC, che è il suo partito, legava la soluzione della crisi
siciliana ai tempi del congresso democristiano; facendo i conti: quasi tre mesi
ancora di vuoto politico. Non sono pessimi segnali?
«Intanto al
congresso DC manca solo un mese. Ma qui è necessaria una considerazione più
complessiva. Non c’è dubbio, le armi possono apparire spuntate. I nodi poli
tici ci sono e sono grossi, legati a scadenze, che del resto erano prevedibili,
che riguardano la DC ma non solo la DC. Mi auguro possano sciogliersi nel minor
tempo possibile al di là di ciò che Gava ha detto».
Quando i nodi
politici di oggi non c’erano le cose non andavano bene. Andiamo ai dati.
Secondo l’ultimo rapporto del Censis, nel ‘79 l’occupazione al Sud è aumentata
più che al Nord. In questo processo la Sicilia è rimasta in coda. I suoi posti
di lavoro sono aumentati solo dell’uno per cento, rispetto al 12,4 della Puglia
e all’1,7 della Campania. Perché?
«Perché ancora
scontiamo il prezzo di una marginalità geografica che è anche economica. C’è un
processo di espansione della struttura industriale del Nord di cui beneficia
chi sta più vicino e non la Sicilia. Qui sono aumentati di poco i posti di
lavoro nell’industria, si sono ri-dotti nell’agricoltura, si è avuto un
incremento nei servizi e nel turismo. Contemporaneamente è aumentata la domanda
di posti di lavoro, dunque il problema della disoccupazione si è aggravato
diversamente dai nostri propositi. Da questo punto di vista le incognite
dell’80 sono più preoccupanti ».
La marginalità esiste
purchè non sia un alibi. Di fatto la Regione ha sprecato occasioni. Un esempio
è il metano. È un formidabile incentivo in mano alla Regione. Ma stando così le
cose, quando esso arriverà dall’Algeria andrà altrove: nulla è stato fatto per
assorbirlo. Si farà qualcosa nei settecento giorni che ci separano dal suo
arrivo?
«Qualcosa è stato
fatto. La riserva alla Sicilia del trenta per cento della quantità che
importeremo dall’Algeria è una conquista della Regione, conseguita non senza
fatica attraverso 1’EMS. Adesso bisogna programmarne il consumo. Non solo da
parte degli enti pubblici, ma anche e soprattutto dalle imprese private. Qui
bisognerà agire in due direzioni: favorire il consumo da parte delle industrie
esistenti, sia pubbliche che private, le quali dovranno modificare i loro
impianti; fare in modo che il metano, un incentivo reale in tempi di crisi
energetica, eserciti un effetto attrattivo di nuovi insediamenti industriali.
Si dovrà operare immediatamente, certo. La questione riguarda il governo ma non
solo il governo, è necessario uno sforzo di tutto il mondo produttivo».
Andiamo al
contenzioso tra Regione e Stato, altro nodo dell’80. Per la Sicilia diventa
pure difficile difendere le briciole. Le risposte a punti di crisi sono da Roma
meno generose di quanto non lo siano per altre regioni del Sud. Alla fine dello
scorso anno, governo ed Assemblea concordarono una iniziativa per costituire un
fronte comune con i parlamentari eletti nell’isola. Non se ne è saputo più
nulla. Le cose sono migliorate?
«Non si tratta di
questo. Nel ‘79 ci siamo sforzati di far conoscere più direttamente la realtà
siciliana ai maggiori protagonisti della vita pubblica nazionale. Le visite del
capo dello Stato Pertini, del presidente del Consiglio Cossiga e del massimo
rappresentante della Cee Jenkins hanno segnato risultati utili per le
prospettive di medio periodo. Sui problemi immediati c’è un contenzioso con lo
Stato. C’è e resta. Devo dire che dopo l’incontro con i parlamentari di cui lei
parla qualcosa è cambiato. Da parte governativa, ma anche politica e sindacale,
si è avuta diversa attenzione, per esempio, per il cantiere navale di Palermo.
Sul Belice ci sarà l’incontro con il governo centrale fra qualche giorno. Passi
in avanti si sono avuti pure per la definizione delle norme finanziarie con il
conseguente aumento delle entrate della Regione. Qualcosa si è mosso, pur se il
clima generale resta tutt’altro che confortante».
Il 79 è stato l’anno
in cui della mafia, dopo un crescendo di violenza, si è parlato dentro il
palazzo. È riconosciuto che il fenomeno si alimenta di un malessere sociale per
rispondere al quale sono necessari fatti politici, non solo misure di polizia.
Ma quali fatti politici in tal senso la Regione ha prodotto, quali potrà
produrre?
«Fatti politici ci
sono stati. Cito soltanto i due dibattiti in Assemblea regionale conclusi con
voto unanime Molte indicazioni concrete per far fronte al fenomeno sono state
accolte dai recenti provvedimenti del Consiglio dei ministri in materia di
ordine pubblico».
Siamo sempre sul
piano delle misure di polizia. I fatti politici riguardano il risanamento del
costume pubblico. Il cardinale Pappalardo nell’ultima lettera pastorale ha
detto che la mafia è pure quella sensazione di sicurezza prodotta dall’esser
«protetti da un amico o da un gruppo di amici che contano». Questi gruppi si
insediano pure dentro la classe dirigente.
«Il richiamo del
cardinale è appropriato. Il problema esiste perchè nella società a diversi
livelli, nella classe dirigente non solo politica, ma pure economica e
finanziaria, si affermano comportamenti individuali e collettivi che
favoriscono la mafia. Bisogna intervenire per eliminare quanto a livello
pubblico, attraverso intermediazioni e parassitismi, ha fatto e fa proliferare
la mafia. Pure è necessario risvegliare doveri individuali e comportamenti dei
singoli che finiscono con il consentire il formarsi di un’area dove il fenomeno
ha potuto, dico storicamente, allignare e prosperare».
Sergio Mattarella XII Presidente della Repubblica |
Articolo pubblicato su Sicilia Informazioni il 30 gennaio 2015
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