sabato 31 gennaio 2015

Sergio raccoglie l’eredità di Piersanti: quell’ultima intervista



La lapide sul luogo dell'eccidio del 6 gennaio 1980 in via Libertà



“Sicilia: nel buio degli anni ’80”. E’ il testo dell’ultima intervista di Piersanti Mattarella, rilasciata a Giovanni Pepi del Giornale di Sicilia. L’intervista venne trasmessa dal Telegiornale di Sicilia la sera di sabato 5 gennaio 1980. Il testo qui riprodotto apparve sul quotidiano palermitano lo stesso giorno in cui il Presidente della Regione venne assassinato proprio su quel marciapiede di via Libertà dove tra poche ore i palermitani si raduneranno per festeggiare il nuovo Presidente della Repubblica. 

Con l’elezione di Sergio Mattarella, che immediatamente raccolse l’eredità culturale del  politica del fratello, quel tratto di strada, finora onorato ogni anno nel giorno del lutto e nel ricordo del martirio, diventa oggi pietra d’angolo del nuovo orgoglio dei siciliani e  segno di una nuova speranza per l’intero Paese.

Palermo, 6 gennaio
Prevedendo le cose degli anni ‘80 si diceva: arriva il buio, comincia il peggio; parole così frequenti da diventare trite. Ora, in Sicilia, la cronaca dei primi giorni dell’anno dà ragione delle anticipazioni tristi. Il maltempo distrugge le coste, miliardi di danni ed una Regione è costretta a risposte inadeguate. Poi crisi internazionale sempre più acuta, il buco energetico si allarga, l’inflazione cresce, possibilità di nuovi investimenti al Sud sempre minori, disoccupazione sempre maggiore. Tra vuoti politici e duri fatti economici, il peggio è davvero cominciato?


La profonda sintonia con l'Arcivescovo di Palermo Card. Salvatore Pappalardo


L’intervista con Piersanti Mattarella, presidente di una giunta di governo dimissionaria dal successore incerto, non può che cominciare da qui.
«Il peggio è cominciato. Il quadro internazionale è politicamente pesante, le conseguenze economiche sono gravi principalmente per le aree depresse come il Mezzogiorno d’Italia. Ma il peggio va affrontato. I nodi sono grossi. Spero di farcela e presto».

Lo si può affrontare con armi spuntate. A Roma il governo è immobile, in Sicilia la giunta è in crisi. Poi si aggiungono pessimi segnali di volontà politica.
«Quali?».

L’altro giorno su un quotidiano del Nord, proprio Antonio Gava, responsabile per la politica degli enti locali della DC, che è il suo partito, legava la soluzione della crisi siciliana ai tempi del congresso democristiano; facendo i conti: quasi tre mesi ancora di vuoto politico. Non sono pessimi segnali?
«Intanto al congresso DC manca solo un mese. Ma qui è necessaria una considerazione più complessiva. Non c’è dubbio, le armi possono apparire spuntate. I nodi poli tici ci sono e sono grossi, legati a scadenze, che del resto erano prevedibili, che riguardano la DC ma non solo la DC. Mi auguro possano sciogliersi nel minor tempo possibile al di là di ciò che Gava ha detto».

Quando i nodi politici di oggi non c’erano le cose non andavano bene. Andiamo ai dati. Secondo l’ultimo rapporto del Censis, nel ‘79 l’occupazione al Sud è aumentata più che al Nord. In questo processo la Sicilia è rimasta in coda. I suoi posti di lavoro sono aumentati solo dell’uno per cento, rispetto al 12,4 della Puglia e all’1,7 della Campania. Perché?

«Perché ancora scontiamo il prezzo di una marginalità geografica che è anche economica. C’è un processo di espansione della struttura industriale del Nord di cui beneficia chi sta più vicino e non la Sicilia. Qui sono aumentati di poco i posti di lavoro nell’industria, si sono ri-dotti nell’agricoltura, si è avuto un incremento nei servizi e nel turismo. Contemporaneamente è aumentata la domanda di posti di lavoro, dunque il problema della disoccupazione si è aggravato diversamente dai nostri propositi. Da questo punto di vista le incognite dell’80 sono più preoccupanti ».

La marginalità esiste purchè non sia un alibi. Di fatto la Regione ha sprecato occasioni. Un esempio è il metano. È un formidabile incentivo in mano alla Regione. Ma stando così le cose, quando esso arriverà dall’Algeria andrà altrove: nulla è stato fatto per assorbirlo. Si farà qualcosa nei settecento giorni che ci separano dal suo arrivo?
«Qualcosa è stato fatto. La riserva alla Sicilia del trenta per cento della quantità che importeremo dall’Algeria è una conquista della Regione, conseguita non senza fatica attraverso 1’EMS. Adesso bisogna programmarne il consumo. Non solo da parte degli enti pubblici, ma anche e soprattutto dalle imprese private. Qui bisognerà agire in due direzioni: favorire il consumo da parte delle industrie esistenti, sia pubbliche che private, le quali dovranno modificare i loro impianti; fare in modo che il metano, un incentivo reale in tempi di crisi energetica, eserciti un effetto attrattivo di nuovi insediamenti industriali. Si dovrà operare immediatamente, certo. La questione riguarda il governo ma non solo il governo, è necessario uno sforzo di tutto il mondo produttivo».

Andiamo al contenzioso tra Regione e Stato, altro nodo dell’80. Per la Sicilia diventa pure difficile difendere le briciole. Le risposte a punti di crisi sono da Roma meno generose di quanto non lo siano per altre regioni del Sud. Alla fine dello scorso anno, governo ed Assemblea concordarono una iniziativa per costituire un fronte comune con i parlamentari eletti nell’isola. Non se ne è saputo più nulla. Le cose sono migliorate?

«Non si tratta di questo. Nel ‘79 ci siamo sforzati di far conoscere più direttamente la realtà siciliana ai maggiori protagonisti della vita pubblica nazionale. Le visite del capo dello Stato Pertini, del presidente del Consiglio Cossiga e del massimo rappresentante della Cee Jenkins hanno segnato risultati utili per le prospettive di medio periodo. Sui problemi immediati c’è un contenzioso con lo Stato. C’è e resta. Devo dire che dopo l’incontro con i parlamentari di cui lei parla qualcosa è cambiato. Da parte governativa, ma anche politica e sindacale, si è avuta diversa attenzione, per esempio, per il cantiere navale di Palermo. Sul Belice ci sarà l’incontro con il governo centrale fra qualche giorno. Passi in avanti si sono avuti pure per la definizione delle norme finanziarie con il conseguente aumento delle entrate della Regione. Qualcosa si è mosso, pur se il clima generale resta tutt’altro che confortante».

Il 79 è stato l’anno in cui della mafia, dopo un crescendo di violenza, si è parlato dentro il palazzo. È riconosciuto che il fenomeno si alimenta di un malessere sociale per rispondere al quale sono necessari fatti politici, non solo misure di polizia. Ma quali fatti politici in tal senso la Regione ha prodotto, quali potrà produrre?

«Fatti politici ci sono stati. Cito soltanto i due dibattiti in Assemblea regionale conclusi con voto unanime Molte indicazioni concrete per far fronte al fenomeno sono state accolte dai recenti provvedimenti del Consiglio dei ministri in materia di ordine pubblico».

Siamo sempre sul piano delle misure di polizia. I fatti politici riguardano il risanamento del costume pubblico. Il cardinale Pappalardo nell’ultima lettera pastorale ha detto che la mafia è pure quella sensazione di sicurezza prodotta dall’esser «protetti da un amico o da un gruppo di amici che contano». Questi gruppi si insediano pure dentro la classe dirigente.


«Il richiamo del cardinale è appropriato. Il problema esiste perchè nella società a diversi livelli, nella classe dirigente non solo politica, ma pure economica e finanziaria, si affermano comportamenti individuali e collettivi che favoriscono la mafia. Bisogna intervenire per eliminare quanto a livello pubblico, attraverso intermediazioni e parassitismi, ha fatto e fa proliferare la mafia. Pure è necessario risvegliare doveri individuali e comportamenti dei singoli che finiscono con il consentire il formarsi di un’area dove il fenomeno ha potuto, dico storicamente, allignare e prosperare».


Sergio Mattarella XII Presidente della Repubblica



Articolo pubblicato su Sicilia Informazioni il 30 gennaio 2015


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