venerdì 9 gennaio 2015

Rushdie, Fallaci, Van Gogh: provocatori o nemici dell’omertà?


        
   L’eccidio dei giornalisti di Charlie Hebdo ci riporta indietro nei recessi più oscuri della nostra storia, quando uccidere “un infedele” in nome di un dio era considerato un precetto, se non la condizione per la propria salvezza eterna.
       In queste prime ore dell’anno appena iniziato si affastellano analisi di ogni genere che si estendono dalla condanna “senza se e senza ma” allasottile giustificazione, a mio avviso molto impropria, di cui il Financial Times si è reso responsabile.
    Secondo il quotidiano della City, si sarebbe peccato di “stupidità editoriale” attaccando l’Islam. “Anche se il magazine si ferma poco prima degli insulti veri e propri, non è comunque il più convincente campione della libertà di espressione” – si legge ancora – “Con questo non si vogliono minimamente giustificare gli assassini, è solo per dire che sarebbe utile un po’ di buon senso nelle pubblicazioni che pretendono di sostenere la libertà quando invece provocano i musulmani”.
    Il giovane Charlie Winter entrerà probabilmente nel Guinness delle gaffe giornalistiche, ma non vi è dubbio che vi siano molti nel mondo che la pensano allo stesso modo. Probabilmente sono gli stessi che ritengono che la responsabilità di molti stupri sia da far risalire all’abbigliamento delle vittime o che commiserano quanti, intervenuti occasionalmente in fatti criminosi che stavano accadendo, siano stati a loro volta colpiti per non aver voluto il buon senso di “farsi i fatti propri”.
     Noi siciliani conosciamo bene questo sentimento perverso e con esso lottiamo da anni nel tentativo di liberarcene, si chiama omertà. Essa può avere origini diverse: la paura di essere puniti da una potente entità vendicativa, l’ansia di essere coinvolti in risvolti giudiziari, il timore di conseguenze per la sicurezza dei propri cari.
   Sull’omertà si sono costruiti i più grandi crimini dell’Umanità. Omertosi erano moltissimi tedeschi che, già a partire dai primi anni del nazismo, evitavano di chiedersi perché i propri vicini di casa ebrei fossero improvvisamente scomparsi, omertosi erano i francesi di Vichy che si voltavano dall’altra parte mentre si deportavano palesemente i bambini ad Auschwitz, omertosi sono stati sino alle soglie degli anni ‘60 gli americani degli stati del sud che avevano sotto gli occhi la discriminazione razziale ma festeggiavano comunque il 4 di luglio e la Festa del Ringraziamento, omertosi sono i tanti politici che tacciono la verità e privilegiano l’appartenenza “feudale” nei confronti del proprio leader per continuare a tutelare i propri privilegi e garantirsi un futuro.
   Omertosi, infine, sono coloro che si nascondono dietro il politically correct e il conformismo becero per paura di dire ciò che in realtà pensano, temendo di essere socialmente esclusi o culturalmente emarginati. 
 I nemici dell’omertà sono la denuncia e la satira attraverso il cui esercizio singoli o comunità si sentono interrogati dai fatti che accadono e se ne fanno pubblicamente carico, pur consapevoli dei rischi che ciò può comportare. E non è necessario vivere in una grande metropoli o disporre di un grande giornale per esercitare questo diritto di dire di no anche attraverso l’ironia più graffiante. Ce l’ha insegnato Peppino Impastato e ogni giorno cerchiamo di non dimenticarlo.
     Il peccato della denuncia non si perdona facilmente e, prima o poi, si trova il modo di farlo scontare al reo. Ne hanno ancora sulla propria pelle il marchio personalità della cultura come Salman Rushdie, ancora oggi perseguitato da una fatwa che non è mai stata revocata e che autorizza ogni musulmano ad ucciderlo, come Oriana Fallaci fatta a brandelli per decenni per aver avvertito del rischio che incombeva sull’ Occidente distratto dal dio denaro, come Theo Van Gogh, il regista olandese trucidato nel 2004 per aver diretto il film Sottomissione da cui ora Michel Houellebecq 
ha tratto il titolo del suo nuovo bestseller di fantapolitica che immagina un governo legittimo e democratico della Francia diventata nel frattempo a maggioranza culturale musulmana, nel 2022.
    Mentre in queste ore si discetta, esattamente come dopo l’attentato alle Torri Gemelle, sulle mille possibili origini e conseguenze della strage di Parigi, non escludendo ancora una volta l’ipotesi del solito complotto tanto caro a chi ama in questi caso “i distinguo”, un dato incontrovertibile è sotto gli occhi di tutti: l’Islam oggi riempie in molti giovani europei – e non solo tra i figli o nipoti di immigrati – il profondo disorientamento di cui scriveva profeticamente Ulrich Beck e il vuoto di valori che il ritardo nella costruzione dell’identità europea ha colpevolmente generato, esibendo piuttosto tutte le fragilità tipiche delle società avanzate, proprio a motivo del fatto che esse si fondano sui principi della libertà di pensiero, dei diritti civili e della ragione.
   Un universo etico ed estetico che qualcuno oggi torna a chiamare “pensiero debole”, auspicandone pericolosamente altri, ritenuti evidentemente “più forti”.
   Come è sempre accaduto nella storia dell’Umanità, le civiltà incapaci di rinnovarsi fanno prima o poi i conti con chi ne accelera la fine. E’stato così per l’impero persiano, per quello romano, per quello ottomano, per le monarchie assolute, per la crisi dei valori borghesi alla fine del XIX secolo. La differenza però sta nel fatto che in tali passaggi epocali l’ago della bussola era comunque rivolto verso un futuro – mai chiaro, ma via via sempre più evidente – e mai distorto, a forza, verso il passato.
    Comunque le nuove sintesi culturali, pur attraverso bagni di sangue, hanno spostato in avanti le mete da raggiungere, dando vita il più delle volte, a mondi migliori di quelli precedenti. L’elemento inedito con cui oggi ci troviamo drammaticamente a confrontarci risiede invece nella negazione esplicita di larga parte dei valori che hanno traghettato il mondo verso una pur discussa modernità.
     A poco vale la considerazione che la maggior parte dei musulmani presenti in Europa come in molte altre regioni del mondo, stiano tentando faticose mediazioni tra lo spirito dei fondamenti coranici e la lettera dei comportamenti civili e democratici; sappiamo bene come poche migliaia di fondamentalisti fanatici siano perfettamente in grado di annullarne gli sforzi coraggiosi e, spesso, conflittuali, lavorando nel sottobosco dell’insicurezza sociale, della povertà, dell’emarginazione. E ciò soprattutto quando dall’altra parte non si oppongono valori realmente alternativi e in grado di prospettare intensamente un diverso e migliore mondo possibile.
    Nel centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, non potevamo imbatterci in una più dilaniante contraddizione: essere consapevoli che il mondo debba cambiare e non avere il coraggio di farlo, archiviando tutto ciò che ancora stancamente ci portiamo dietro della società, dell’economia e delle divisioni ideologiche del secolo che ancora fatica a chiudersi.

      E’ per la nostra incapacità di progettare il futuro in Europa che il passato arcaico si ripropone con l’aspetto feroce del fanatismo religioso, dell’intolleranza e della violenza, a cui – almeno fino a quando la ragione riuscirà a prevalere sull’istinto della vendetta- ci è impedito di rispondere allo stesso modo.
    Faremmo il gioco di chi ha pianificato questo nuovo orrore e precipiteremmo anche noi nella barbarie,dimenticando nel volgere di pochi anni chi siamo e da dove veniamo.



Articolo pubblicato da Sicilia Informazioni.com il 9 gennaio 2014



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