giovedì 22 settembre 2016
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Luigi (Loris) Sanlorenzo Palermo,1956, Giornalista Pubblicista
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sabato 25 giugno 2016
Fumo di Londra. Quel che resta dell’ Europa.
Non è servita a nulla la bandiera a mezz’asta esposta sulla
torre del Parlamento britannico in segno di lutto per l’assassinio della
deputata laburista Jo Cox. Eppure, come
un tragico monito, avrebbe dovuto far
riflettere i sudditi del Regno Unito sulla
responsabilità della scelta pro o contro l’Europa.
Nel volgere di poche ore le previsioni sono state ribaltate
e con esse vanno in fumo sessant’anni di storia che realizzavano, pur con ogni
limite umano e politico, la straordinaria visione concepita da Altiero Spinelli
nell’esilio di Ventotene, mentre infuriava all’orizzonte il rogo della seconda
guerra mondiale.
La Gran Bretagna lascia l’ Europa e non lo fa per elevate
ragioni etiche o in vista di alternative migliori. Con uno scarto, non
eclatante ma determinante, nella terra di John Locke e di David Hume hanno prevalso
l’astio e non la ragione, la paura e non la fiducia, il passato e non il futuro. Hanno preso il
sopravvento impossibili nostalgie di un aureo isolamento coltivate da over
sessantacinquenni e dai ceti popolari stretti nella morsa della crisi economica
su cui hanno soffiato i venti della xenofobia e del razzismo, assecondati da
una leadership miope che tentava di preservare se stessa, blandendo gli
elettori con la promessa del referendum contro l’Unione.
Oggi quella mossa azzardata si è rivoltata contro i propri
autori che dovranno assumere una responsabilità senza precedenti nella storia
della Gran Bretagna poiché l’esito della consultazione che ha contrapposto i leavers ai remainers supera il Canale della Manica e si riverbera su un
continente di oltre 500 milioni di persone che non perde solo una delle
ventotto nazioni che compongono l’Unione, ma quella che ne completava il significato e
ne definiva l’identità.
Stanotte in Europa il tempo si è fermato e nello spazio di
pochi secondi sono passati nella mente di molti di noi migliaia di immagini del
passato individuale e collettivo legato indissolubilmente al rapporto con una
terra che ha rappresentato per secoli la frontiera di ogni innovazione
culturale, economica e sociale e la cui lingua ha preso il posto, dopo due
millenni, del latino, contribuendo a globalizzare, nel bene e nel male, la nostra esistenza.
Una terra che sta accogliendo da vent’anni larga parte della
generazione Erasmus, offrendo non solo il lavoro per sopravvivere in condizioni
di dignità e di tutela sociale ma soprattutto la possibilità di sviluppare quei
talenti che paesi come l’Italia ogni giorno umiliano, spingendoli ad emigrare.
Senza la presenza britannica l’Europa corre il rischio di
tornare ad essere l’eterno campo di
battaglia tra la Germania e la Francia, in lotta – impari - per il predominio culturale ed economico,
anche quando diplomatici abbracci sembrano voler mandare messaggi di altro
segno. Quella stessa Francia che nel 2005 ha contribuito ad affossare il
progetto di una vera Costituzione Europea e nel 2010 ha di fatto impedito la
realizzazione dell’area di libero scambio nel Mediterraneo. Quella stessa
Germania che non ha esitato ad umiliare la Grecia - pur non esente da pesanti
responsabilità - ed a finanziare il
premier turco Erdogan perché facesse il “lavoro sporco” di intercettare con
metodi inaccettabili i migranti che provengono da est, dando vita ai lager del
terzo millennio.
Né può farsi affidamento sulle nazioni di quello che un
tempo chiamavano BENELUX che già meditano in queste ore propri referendum o
sulle lontane terre scandinave che, persino nella semidesertica Finlandia che
pure deve tutto all’Unione ed ai ben utilizzati fondi strutturali, mostrano
insofferenza verso i flussi migratori da cui sono molto parzialmente
interessati.
Le new entries dei
paesi baltici e slavi, in cui una destra
xenofoba e prepotente sta pervadendo menti da troppo poco tempo abituate alla
democrazia occidentale, finiranno col trovare in Vladimir Putin il proprio
riferimento e soprattutto il proprio finanziatore.
Cosa faranno l’Italia, la Spagna, il Portogallo e la
Grecia, sempre più incapaci di trovare
una propria strada mediterranea verso lo sviluppo e la cui larga parte del debito
pubblico non è più interno ma si trova nelle casse delle banche tedesche ?
Basteranno leadership traballanti e movimenti velleitari a contrastare la
protesta interna che ancora una volta trova nei migranti un nuovo capro
espiatorio piuttosto che una risorsa indispensabile per società ormai
invecchiate ? Non è dato saperlo, ma i
recenti successi del Movimento 5 Stelle in Italia possono essere indicatori significativi circa l’avanzare di
una politica che non sarà - forse - più “anti” ma, certamente non lascia
comprende cosa essa veramente proponga in ordine ai grandi temi della
contemporaneità.
La politica internazionale si regge da sempre sull’esile equilibrio
delle forze in campo. Per decenni essa ha trovato nella contrapposizione tra i
blocchi un pur discutibile assetto. Dopo la caduta del Muro di Berlino, è
toccato all’idea di superare la CEE al fine di determinare un nuovo equilibrio
che trovasse nell’integrazione “conveniente” il collante tra nazionalità
diverse e sovente contrapposte, disposte
ad intraprendere la strada dell’ Unione, prima economica e presto politica.
L’errore che oggi paghiamo a carissimo prezzo è quello di non aver saputo
invertire la sequenza, ritrovandoci in un’ Europa dei banchieri piuttosto che
degli statisti.
La paura per il “diverso”
ha fatto il resto. Quella stessa paura che indusse l’Europa a non ostacolare l’ascesa di Adolf Hitler,
in funzione anticomunista, salvo a pentirsene amaramente quando fu troppo
tardi. E’ quella stessa paura che oggi genera ostilità - quando non lucra
profitti - nei confronti di chi fugge dall’orrore di guerre note o dimenticate
di cui il pianeta è disseminato.
Risuonano in queste ore parole logore volte a rassicurare
circa la tenuta finanziaria dell’Unione ed a promettere nuove politiche più
attente alla dimensione sociale. In realtà, nulla sarà più come prima poiché il
breve braccio di mare oltre Calais è diventato un oceano dove galleggiano i
relitti dei sogni di più di una generazione e sulle cui sponde opposte
aleggiano non la promessa roosveltiana di un nuovo mondo possibile e migliore,
ma il delirio di Donald Trump e i demoni del passato che egli rappresenta ed evoca.
Una delle più belle sequenze dell’indimenticabile film di
James Ivory “Quel che resta del giorno” (The remains (!) of the day) uscito nel
1993, si chiude con il rimpianto dei protagonisti per un destino comune che si
sarebbe potuto compiere anni prima se solo lo si fosse voluto. Nella pioggia
battente sul lungomare di Brighton i due, ormai anziani, si salutano, ben consapevoli, nonostante cortesi
rassicurazioni reciproche, che non si
rivedranno mai più. Ciascuno seguirà in solitudine ciò che resta della giornata
della propria vita.
Sotto l’ennesimo temporale di questo giugno triste, mentre ostinatamente
vogliamo continuare ad aggrapparci a quel che resta delle nostre speranze, ci è accaduto di essere attori e
corresponsabili di una pagina indimenticabile di Storia di cui avremmo tanto
voluto non doverci vergognare con quanti verranno dopo di noi.
Pubblicato da Sicilia Informazioni il 25 giugno 2016
Pubblicato da
Luigi (Loris) Sanlorenzo Palermo,1956, Giornalista Pubblicista
alle
10:12
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