sabato 26 settembre 2015

La Sicilia al tempo di Renzi: cronaca di una mutazione irreversibile

   
                       
   Da oltre un anno il dibattito politico del Paese ha raggiunto una nuova ed elevata conflittualità dai contenuti e dagli attori molto diversi rispetto al passato recente. La contrapposizione nei confronti di Silvio Berlusconi - in larga misura fondata più sul giudizio etico del profilo privato/imprenditoriale del personaggio che sulle scelte politiche ed economiche dell’uomo politico- ha contraddistinto gli anni dal 1994 al 2011, dividendo l’Italia in due campi molto definiti ed identificabili
    Berlusconi aveva sdoganato la Destra, dirozzato la Lega Nord, recuperato larga parte dei socialisti a rischio di estinzione e offerto corpose possibilità di sopravvivenza ai cattolici conservatori dando vita ad un’area “moderata” consistente ma al tempo stesso resa fragile dalle continue disavventure del Premier e dalle aspirazioni suicida di qualche inadeguato delfino.
   Sul versante opposto il centrosinistra, fiaccato dalle brevi ed incompiute stagioni prodiane, trovava unità solo nel contrasto all’ Uomo di Arcore ma restava profondamente diviso al proprio interno sia per il frazionismo cronico della componente ex o meno comunista che dalla difficoltà di conciliare la tradizione marxista con quella cattolico democratica ed ambientalista.
    Berlusconi era, comunque, un “muro” al di qua e al di là del quale gli italiani identificavano se stessi e il proprio sentimento di appartenenza.
   L’autunno del 2011, preceduto dalla bollente estate finanziaria, dall’irrompere dello spettro dello spread e dall’esito dei processi, ha visto crollare fragorosamente quel muro e rimescolare tutte le conseguenti macerie in un insieme indistinto. Con il governo Monti, in nome dell’emergenza nazionale, è stata “sospesa” ogni differenza e tutti i principali partiti hanno sostenuto provvedimenti che, ciascuno per la propria parte, avrebbe in altre circostante aborrito. 
  Ma ciò ha lasciato una traccia profonda che ha condotto oltre la gestione dell’emergenza ed ha modificato il DNA delle parti in campo.
  Tra le macerie indistinte ancora sul terreno è sorta la speranza da parte del Partito Democratico di potere finalmente aspirare al governo del Paese presentandosi a viso aperto recuperando la vocazione maggioritaria di veltroniana memoria, confidando non solo nell’assenza/impedimento dell’ ex Cavaliere ma soprattutto snobbando il peso del nascente Movimento 5 Stelle e ritenendo che al momento di scegliere gli italiani avrebbero comunque preferito in larga parte la “solidità” del PD del pragmatico Bersani alle evanescenti manifestazione di Beppe Grillo.
Tale clamorosa sottovalutazione è stata all’origine di quanto ora appare sotto gli occhi di tutti. Il tripolarismo (o quadripolarismo se si tiene conto delle astensioni) che ne è derivato nel febbraio del 2014 ha avuto l’effetto di archiviare l’alternanza tra due blocchi antitetici che si disputassero di volta in volta il ruolo di governo.
 E in tale contesto che l’ascesa rapidissima di Matteo Renzi va ricostruita e compresa.
  Per prevalere sull’ “orda grillina” che aveva umiliato Bersani imponendogli uno stallo permanente nella costituzione del nuovo governo il PD doveva presentarsi al Paese con un volto che sul piano generazionale rivaleggiasse con quello del Movimento 5 Stelle e sul piano della gestione del potere risultasse più affidabile perché garantito dalla Presidenza della Repubblica di allora e, conseguentemente, gradito dai grandi players dell’Unione Europea.
   Dopo la breve ed anonima parentesi di Enrico Letta, Matteo Renzi ha colto l’ opportunità e, forte del successo alla guida del proprio partito, (impensabile sino a pochi mesi prima) ha liquidato un ‘intera classe dirigente ed ha inaugurato, facendone “ tagliare il nastro” ad un nuovo Presidente della Repubblica in carica sino al 2022, una nuova era della politica italiana cui, con onestà intellettuale, va riconosciuto un rilievo simile a quello rappresentato dal compromesso storico degli anni 70 e dall’esperienza ulivista degli anni ’90. 
  A quarant’anni di distanza dalla bizzarra definizione di Aldo Moro che le pensava parallele, con buona pace della geometria le convergenze sono tornate ad essere tali.
                       
   L’era renziana, che a motivo della giovane età del premier è destinata a durare – al di là di ogni specifico incarico dello stesso Matteo Renzi – per molti anni, presenta alcune caratteristiche inedite che può essere utile approfondire seppur sinteticamente.
  Attraverso il laboratorio delle riforme costituzionali (luogo da sempre di contaminazioni altrove impossibili) viene archiviata la stagione delle contrapposizioni ideologiche che erano sopravvissute al crollo del comunismo, mantenendo il proprio effetto perverso sull’esito di riforme vitali riguardanti il lavoro, la scuola, la pubblica amministrazione, la giustizia, il fisco e molto altro che insieme hanno totalizzato i venti anni di ritardo del processo di modernizzazione dell’ Italia rispetto ai principali paesi europei e il conseguente minore sviluppo.
   L’urgenza di dare risposte troppo a lungo negate ha consentito al PD di sintonizzarsi con settori di popolazione “invisibili” per troppo tempo al Sindacato, come nel caso dei precari e soprattutto delle partite IVA lasciate come libero pascolo al PDL e alla Lega Nord ed ha posto fine all’indebita intromissione delle OO.SS che per troppo tempo sono andate oltre la propria missione istituzionale prevista dalla Costituzione. Il nuovo statuto della rappresentanza dei lavoratori ridisegnerà presto anche tale delicato settore sulle cui tardive barricate sono ancora attestati Landini e la Camusso.
   Nonostante l’infelice definizione di partito della nazione, fortunatamente presto archiviata, l’idea di un contenitore ampio e variegato tenuto insieme dal collante del cambiamento del Paese in una direzione che si sarebbe detta un tempo “socialdemocratica”, sta tenendo insieme istanze che prima marcavano i confini di partito.
  In tale nuovo contenitore trovano spazio temi sino a ieri identificativi dell’essere a destra o a sinistra: la definizione dei diritti civili, dell’accoglienza dei migranti e delle unioni omosessuali ma anche le liberalizzazioni dei servizi pubblici e la modernizzazione della P.A. Hanno pari dignità programmatica la lotta all’evasione fiscale e il dialogo “concreto”con le associazioni imprenditoriali, l’abolizione della tassa sulla prima casa e la revisione di un catasto “ottocentesco” che obiettivamente falsa la consistenza del patrimonio immobiliare italiano e crea vistose sperequazioni..
  E, ancora, convivono la responsabilità civile dei magistrati con l’inasprimento e la certezza della pena, la prospettata abolizione dell’ergastolo con la depenalizzazione di reati minori, la centralità dello Stato con l’Autonomia, riveduta e corretta, dei territori mediante il superamento della polverosa Conferenza Stato Regioni e l’introduzione di un Senato specialistico che rappresenti le diversità locali, superando il falso problema delle modalità di individuazione dei componenti.
  In sintesi, nel nuovo Partito Democratico lo sforzo di dare soluzione ai problemi posti dalla complessità prende il posto della collocazione ideologica dei problemi medesimi intorno ai quali un tempo nascevano partiti, movimenti e oggi si agitano agguerrite quanto isolate minoranze interne.
  Quando un soggetto politico a vocazione maggioritaria presenta un vasto programma unitario e traversale di interventi è inevitabile che attragga anche coloro che militavano in formazioni in altri tempi molto lontane, se non addirittura opposte, sul piano dei contenuti e dei metodi.
  Quanto oggi sconcerta – massimamente in Sicilia – in merito all’avvicinamento di esponenti storicamente lontani dall’area del centro-sinistra tradizionale, va dunque riferito alla presentabilità e alla credibilità dei singoli e non, come si ama enfatizzare strumentalmente, alla provenienza politica degli stessi
   Non giova tuttavia l’apertura verso intere aree organizzate che va limitata all’appoggio esterno o ad alleanze momentanee ma non può e non deve coincidere con l’ingresso collettivo nel partito di ulteriori componenti organizzate guidate da piccoli o grandi ras locali.
  Peraltro, fu proprio questa la cifra di tanti movimenti che nel buio dei primi anni ’90 prepararono la strada all’idea stessa di Partito Democratico, come sintesi di identità diverse ( e non di pezzi di partito) per un progetto politico comune. Come in tutte le fasi di passaggio, occorrerà separare il grano dal loglio, andare oltre i voti portati in dote e confrontarsi/scontrarsi con quanti stiano considerando esclusivamente l’aspetto utilitaristico tentando di riciclarsi nella nuova era. Prima, durante e dopo il fascismo larga parte dei problemi italiani derivò proprio dalla mancata selezione di classi dirigenti che fossero autenticamente nuove. 
   La vera sfida che il PD dovrà affrontare consisterà dunque nel corretto equilibrio tra l’accoglienza di chiunque sia interessato a costruire in Italia il Bene Comune nello scenario mondiale, oltre ogni residua frontiera ideologica e la rigorosa individuazione di una generazione, comunque nuova, di rappresentanti e di governanti che consenta al Paese quel ricambio fisiologico di volti e di storie che in quasi tutti gli stati europei è da anni un traguardo ormai raggiunto. 
   E se ciò è necessario in ogni parte d’Italia, diventa imprescindibile in una regione come la Sicilia, esposta più di altre al rischio dell’antipolitica, che dovrà presto confrontarsi con una nuova narrazione dell’Autonomia e con la selezione democratica dei profili di quanti la dovranno rappresentare e difendere non più come una rivendicazione astiosa di privilegi ormai antistorici, quanto, piuttosto, come contributo originalissimo della storia e della cultura di un popolo/nazione (per il quale non sarebbe insensata una designazione al Premio Nobel per la Pace) senza il quale l’intero Paese sarebbe impoverito e mutilato nel compito di essere ponte con il nuovo mondo che vive il calvario Mediterraneo e bussa alle porte dell’ Europa, consapevole del proprio diritto ad un futuro migliore.

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