giovedì 12 aprile 2012

Restituire dignità al Consiglio Comunale


Pubblicato oggi anche su linksicilia.com e sui principali social networks

Appello alle Elettrici ed agli Elettori palermitani

La breve stagione delle elezioni amministrative per rinnovare il Sindaco, il Consiglio Comunale,  i Presidenti ed i Consigli di Circoscrizione è ormai entrata nel vivo. Definita la platea dei Candidati a Sindaco e ormai chiuse le liste, si rende necessaria una riflessione approfondita su cosa stia già accadendo a Palermo nei quartieri, nelle famiglie, nelle associazioni.

Come di consueto, mentre l’attenzione dell'opinione pubblica è massima sui Candidati a Sindaco che pur in misura e con stili diversi si contendono la poltrona di Palazzo delle Aquile, ogni soggetto politico – presente già con il proprio simbolo nelle istituzioni o di generazione spontanea attraverso le liste civiche – sta presentando alle elettrici ed agli elettori cospicui elenchi di nomi nell’imponente misura di oltre 1500 persone.

Mentre si invocano da ogni parte nuove qualità e adeguate competenze degli Amministratori Pubblici, nella pratica quotidiana della politica locale si opera in modo abbastanza schizofrenico, con ampio ricorso a “metodologie” di selezione dei candidati che, diciamolo pure, in nulla differiscono dal passato.

Si punta in larga misura a privilegiare candidati “giovani”,  candidati “scafati”, candidati “ammiccanti” o più semplicemente candidati di cui si conosce la numerosità del nucleo familiare allargato o la consistenza della clientela nel caso di professionisti, in particolare medici o di qualche, raro, avvocato.
In taluni casi sono candidati esponenti del disagio lavorativo, sanitario, studentesco ecc, nella speranza di captare elettori che si riconoscano in questo o quel problema che si trovano a vivere personalmente.

Mentre ai candidati a Sindaco, si richiedono capacità di proposta, di soluzione dei problemi, di incisività dell’azione amministrativa, per la gran massa dei candidati agli altri ruoli tale soglia di desiderabilità si abbassa bruscamente. Un candidato o più per famiglia, uno o più per associazione, uno o più per cooperativa sociale ecc..



La Sala delle Lapidi, sede del Consiglio Comunale di Palermo


Sembra essere assente in questo caso ogni criterio di competenza,  nell’errato convincimento che, alla fine,  i Consiglieri Comunali o di Circoscrizione siano solo chiamati “ad alzare la mano” a comando più o meno esplicito del proprio referente politico.

Si tratta di un errore di valutazione estremamente clamoroso che, sovente poggia sulla lacunosa conoscenza di ruoli e funzioni delle Istituzioni locali. In particolare si continua a pensare che il Consiglio Comunale, non essendo più la sede dell’elezione del Sindaco e della Giunta, sia di fatto passato ad un rango minore: un rango di ratifica di decisioni prese altrove e in mancanza delle quali tenuto “in attesa” spesso per interse settimane o mesi.

In realtà, la previsione normativa che “separa” i due Organi, oggi resa ancora più visibile dall’esercizio del voto disgiunto, trae origine da una fondata riflessione che vede il Sindaco e la Giunta, pur dotati di maggiore autonomia rispetto al passato, un vero e proprio “esecutivo” rispetto alla pienezza della rappresentanza popolare identificata nel Consiglio.
Si pensi infatti a tre grandi ambiti di competenza che detto Organo mantiene: il presidio dello Statuto, matrice di ogni altro atto amministrativo, il varo di tutte le politiche di programmazione e di regolamentazione di ogni aspetto della vita della Città, il Bilancio.

Tre grandi comparti dell’amministrazione locale che oggi – e presto ancora di più – sono all’origine del destino di un territorio disegnandone l’uno l’idea di Città, l’altro i modi di funzionamento interno ed esterno dell’Ente nelle diverse articolazioni amministrative e territoriali, l’altro ancora, infine,  le priorità finanziarie rispetto ai bisogni più strategicamente ritenuti prioritari, lontano dalla cultura dell’emergenza che quasi sempre contraddistingue – e rende infinitamente più costoso - l’intervento pubblico.

Eppure,  negli ultimi dieci anni pochissime sono state le proposte di atti deliberativi di iniziativa consiliare, mente molte le mozioni e gli atti ispettivi volte più a farsi notare dai propri elettori portatori di bisogni spesso  di livello poco più che individuale o, nel legittimo gioco della dialettica consiliare, a porre in difficoltà o a “sanzionare” il Sindaco o i singoli Assessori.

Siamo dunque lontani da un Consiglio Comunale in cui, legittimati proporzionalmente dal consenso di tutti i cittadini, siedano esponenti dotati di esperienza specifica, competenza nei settori della Pubblica Amministrazione, pratica efficace dei sistemi di pianificazione e di gestione di organizzazioni di livello complesso.

  Antonino Caponnetto, Primo Presidente del Consiglio Comunale di Palermo, 1993 


Siamo lontanissimi dalla visione di  Presidenti di tale Organo che interpretino il ruolo con la dignità istituzionale dovuta e con un livello di rappresentanza che non è inferiore a quello del Sindaco.
Da ciò il “ripiegamento” dell’Organo a luogo dove aspetti esteriori e profondi,  di contenuto  e di forma, scendono spesso sotto il livello della decenza e, talvolta, della civiltà. Non si comprende inoltre il vezzo antico di sedute notturne, di appelli saltati, di interruzioni continue, di lunghi bivacchi nelle sale del Palazzo in  attesa della “chiama”.

Giorgio Chinnici, Presidente del Consiglio Comunale di Palermo dal 1994 al 1997


Uno stile di Governance, si direbbe in altri contesti, non certo adeguato ad una delle principali città italiane, carica di storia, di illustri tradizioni e della testimonianza di illustri esponenti che le tante Lapidi dell’omonima sala cercano timidamente di ricordare.
Uno stile che, inoltre,  rimarca il carattere ancora spiccatamente “maschile” dell’istituzione, sapendo bene, per esempio, come diverso è il senso del tempo per le donne, al pari del pragmatismo e dell’essenzialità dei comportamenti finalizzati al raggiungimento di obiettivi concreti.

Da ciò  l’assenza pressoché totale di una visione della Città che trova comunque nello Statuto, pur nella diversità dei mezzi scelti dalla politica per perseguirli, una ben netta definizione degli obiettivi di Bene Comune da raggiungere.
Principi chiari e ben delineati che non possono infatti essere valicati dal Sindaco o dallo stesso Consiglio, salvo a modificarne l’impianto con le maggioranze qualificate previste dallo stesso.

Da ciò, ancora,  il fertile “pascolo” offerto ai giovani e giovanissimi cronisti, inviati a cogliere più gli aspetti di colore, la rasentata rissa, la frequente considerazione dell’inutilità della specifica seduta, il tragico elenco delle delibere giacenti, spesso in quantità industriale, in attesa dell’atteso prelievo per la discussione, gli emendamenti , la sospirata decisione.

La prossima amministrazione dovrà  confrontarsi urgentemente con centinaia di provvedimenti rifondativi della Città e in larga parte di competenza proprio del Consiglio Comunale per la straordinaria portata che ciascuno di essi avrà sul presente e sul futuro dei Palermitani di oggi e di domani , del Territorio, dello Sviluppo civile, economico, sociale e culturale. A tale compito rischia di presentarsi un’aula impreparata e disorientata al compito, quanto invece magari è preparata o ben orientata alla propria professione – o meno - di provenienza

Alcuna attività di informazione infatti , né tanto meno di formazione viene indirizzata ai neo eletti, catapultati spesso dalle proprie professioni, mestieri, studi o attività casalinghe,  nel linguaggio e nei contenuti dell’agire amministrativo.Si vaga così per mesi in cerca di un Regolamento che deve essere ristampato da decenni, piuttosto che di un tavolo dove scrivere o ancora di una vaga idea di quali siano i propri compiti, i propri limiti, le proprie prerogative istituzionali. Ed è inevitabile che in tale stato confusionale si finisca per reiterare i comportamenti suggeriti da consiglieri già esperienti, navigati, introdotti ecc, appartenenti al proprio,  se non addirittura ad altri Gruppi Consiliari.

Si perpetuano così abitudini, inefficienze e ulteriore degrado del costume istituzionale che non giovano né all’immagine né alla sostanza dell’azione amministrativa in favore della Città.

Si interroghino su ciò le elettrici e gli elettori di Palermo quando, vedendo questo o quel volto sui manifesti elettorali o questo o quel nome sulle liste esposte nei seggi,  dovranno chiedersi se stanno votando il cugino, il parente o l’amico piuttosto che uno o una delle cinquanta persone cui stanno per affidare il futuro proprio, dei propri figli, dei propri nipoti.
Se lo chiedano quando il candidato, mentre porge un fac-simile cacciandolo frettolosamente in una mano esitante,  si limiterà ad assecondare i più profondi e talvolta drammatici bisogni dell’ormai supposto acquisito elettore, con un ammiccante “non c’è problema, poi ci penso (sic!) io”.

Palermo cerca una svolta, un nuovo destino che la conduca lontano dal proprio drammatico presente da cui già sono fuggiti i giovani più brillanti o semplicemente i più indignati o i più disperati.

Tale destino nascerà non dall’affidamento a questo o quell’uomo o donna della Provvidenza ma solo da una presa di coscienza - che non conosce limiti di cultura, di ceto sociale o di provenienza culturale - che consiste nel progressivo convincimento che una Comunità costruisce da sé il proprio domani attraverso la scelta di coloro che devono guidarne il cammino di miglioramento. Non solo allora onestà e trasparenza, che sono la soglia minima d’ingresso nella vita pubblica, ma soprattutto credibilità della propria storia professionale e civile e con la disponibilità ad elevare ancora più al di sopra di quelle (se vi sono) il proprio impegno politico e amministrativo della Città che avranno scelto di servire, per un determinato e ben definito periodo di tempo, con piena consapevolezza, totale dedizione, incondizionato e reale interesse e amore per il la sua storia e per il suo sviluppo: radici ed ali di un' identità proiettata nel tempo.





lunedì 2 aprile 2012

Il destino dei giovani di Palermo


Dalle chiacchiere degli incompetenti alla capacità  progettuale
di costruire futuro


Il tema dello costruzione del futuro dei giovani a Palermo appare ancora una volta demagogico e soprattutto trattato in modo assolutamente poco professionale da politici o aspiranti tali che sovente non sanno di ciò che parlano e che proprio per tale ragione farebbero meglio a tacere.

Un affastellarsi di proposte, speso velleitarie ed ideologiche che “lasciano il tempo che trovano” e non incidono in alcun modo sui veri processi di trasformazione. Ovviamente tutte condite dalle consuete invocazioni a “legalità”, “antimafia”,“uso dei bei confiscati, usate come virgole e punti esclamativi, ricorrenti ogni dieci parole, come la ben nota interiezione  frequente nel dialetto palermitano.

Il tempo dei giovani in una città normale inizia dalla scuola pubblica e dalla centralità che ad essa va data quale irrinunciabile priorità istituzionale, organizzativa e finanziaria..

A Palermo si comincia a fare esperienza di scuola in locali sovente fatiscenti dopo pochi mesi dalla consegna dei lavori, freddi, disadorni,  in cui risuonano mugugni e lamentele del personale addetto, a partire dagli insegnanti e sino al cosiddetto personale tecnico amministrativo, alle prese con problemi quotidiani di agibilità degli edifici, di sicurezza degli stessi, di preoccupazione innanzitutto per il proprio futuro, di rapporti con famiglie dai comportamenti collocabili in un’ampia gamma che va dalla mafiosità arrogante che vanifica ogni intervento sugli alunni  alla generosa disponibilità a dipingere infissi e a sostituire rubinetti,tubi e altri materiali,  a proprie spese e spesso operando direttamente sotto lo sguardo indifferente di chi dovrebbe farlo..

Com’è noto il Comune ha in carico le scuole elementari e medie e la Provincia gli istituti superiori. Entrambi gli Enti si occupano, quando possono e vogliono, delle emergenze strutturali, ma non entrano mai nella progettualità, lasciando tale carico ai Consigli d’Istituto,  in cui non intervengono mai ad alcun titolo.

La prima proposta a tale riguardo è dunque la ri- progettazione dei rapporti istituzionali tra scuola e Amministrazione Comunale, da rivedere nella logica dell’articolazione territoriale delle Municipalità, nel pieno rispetto delle caratteristiche identitarie delle stesse,  al fine di fare percepire già dalla più giovane età  sia la dimensione locale che quella più complessiva della Città, fuori da ogni antica e nuova marginalità
La progettazione dei curricula (da anni prevista dall’Autonomia Scolastica) dovrà quindi tenere conto di tali elementi e trovare piena rispondenza nella priorità che l’Ente dà a tale settore operando coerenti e prioritarie scelte di bilancio. Il Comune, nell’articolazione specifica della Municipalità, è dunque il vero ed unico committente delle politiche scolastiche e deve trovare presso dirigenti, insegnanti e personale tecnico della scuola interlocutori attenti, interfacciando gli stessi con professionalità adeguate sul piano tecnico operativo, pedagogico e di sostegno alle situazioni difficili, nonché su quello dell’assistenza tecnica per presentare progetti su fondi UE.

Prima del termine delle attività scolastiche andranno sviluppati veri e propri tavoli tecnici Scuola/Comune/Municipalità atti a predisporre politiche educative finanziabili con fondi comunitari,  piani operativi e iniziative formative extracurriculari dell’anno successivo, ponendo al centro obiettivi educativi coerenti con gli specifici bisogni dei territori in questione.

Analoga sinergia va stabilita con l’Amministrazione Provinciale (finchè esisterà) perché la cesura attuale in termini di interventi tecnici e di contenuti formativi venga colmata in nome di quella continuità educativa che è essenziale nel processo di sviluppo delle singole individualità. Ad oggi, per esempio, l’attività di orientamento è sporadica se non assente e si limita a far conoscere agli adolescenti l’esistenza di questo o di quell’Istituto Superiore, senza tener conto delle vocazioni  delle persone e delle caratteristiche dei territori.

Non va trascurato lo straordinario apporto che tale sinergia può e deve trovare nell’associazionismo giovanile di ogni genere,  quella “marcia in più “ e quell’apertura verso la società ed il volontariato (grandissima ricchezza in regioni quali il Veneto e la Lombardia) cui la scuola attualmente non educa, pur con lodevoli ma poco significative e individuali eccezioni.

L’ulteriore passaggio è la piena applicazione di quanto previsto dall’alternanza tra scuola e formazione professionale (le ben note “passerelle”) che consenta al giovane di sperimentare già nella fase della scuola superiore periodi di apprendistato a fianco di quelli scolastici, scoprendo magari vocazioni e inclinazioni verso mestieri utili, richiesti e redditizi a breve. Si veda al riguardo la straordinaria esperienza, ormai ventennale, del Comune di Brescia in piena sintonia con l’Ufficio Scolastico e le Associazioni di Categoria

Su tutto ciò finora il Comune si è ben guardato di assumere una regia piena e consapevole, sconoscendo in molti casi buone pratiche e modelli virtuosi che in altre parti del Paese e del mondo fanno della scuola l’anticamera della vita e ne costituiscono la prima e più ricca fase di educazione alla cittadinanza attiva , nell’età più ricettiva della persona.

Se di cesura si è detto circa la continuità tra scuola media e scuola superiore è di abisso culturale ed organizzativo che si deve parlare in ordine al successivo passaggio all’esperienza universitaria.
Nella nostra Città tale scelta è per la maggior parte dei giovani all’insegna dell’assoluta casualità, o, per alcuni corsi a numero chiuso, di cospicui e non sempre limpidi investimenti familiari volti ad “assicurare” la successione di Studi Professionali o di Imprese. Da ciò abbandoni, mortalità studentesca, ritardi che diventano incolmabili e sfociano nella ben nota dimensione di parcheggio vissuta dai giovani palermitani e spesso protratta per disperazione in forme di ulteriore approfondimento “culturale” (lauree magistrali o master universitari estremamente teorici e per lo più non  necessari alla maggior parte degli studenti e magari un po’ di più ai docenti).

Non a caso nell’Unione Europea la maggior parte dei giovani conclude gli studi con la laurea triennale e poi frequenta un master (spesso esterno all’Ateneo e in cui sono docenti part time manager e specialisti) in cui effettivamente  si professionalizzano per proporsi al mercato del lavoro, spesso autorevolmente presente con propri esponenti negli Organismi accademici,  con ottimi risultati d corrispondenza tra i contenuti dei corsi di laurea e le effettive necessità del mercato.



Stoccarda, 2005 - Seminario Int.le CEDEFOP - UE "Giovani, Formazione e Lavoro"


Chi scrive ne ha verificato personalmente i benefici risultati nel Regno Unito, in Germania e in Norvegia durante le visite studio organizzate dall’Unione Europea per addetti ai lavori e  avendo fatto parte per alcuni anni del Comitato d’indirizzo dell’Ateneo di Palermo, istituito durante la prima riforma dell’Università avviata dopo il Processo di Bologna e il lancio delle lauree triennali; il confronto tra Accademia, Organizzazioni produttive, Ordini professionali e Organizzazioni Sindacali diede luogo a sinergie e all’individuazione di corsi laurea rispondenti alla realtà , troppo frettolosamente interrotte dalle successive riforme “nuove” e “nuovissime” del Governo Berlusconi.



Oslo, 2002, Seminario CEDEFOF - UE "Il Sistema delle Competenze in Norvegia"

Risulta chiaro che attraversando  processi virtuosi di cui l’Ente Locale sia promotore e regista attento e consapevole nonché soggetto convocatore delle altre parti in questione, i giovani che ne faranno esperienza acquisteranno due specifiche consapevolezza: l’essere una risorsa strategica per il territorio in cui sono nati e la responsabilità di prepararsi con profitto (riconosciuto e premiato) ad integrarvisi perché portatori di competenze realmente utili per lo sviluppo locale.
E’ questa l’unica strada per  ridurre gli sbandamenti, gli abbandoni, il senso di frustrazione e di disorientamento che connotano la maggior parte dei laureati palermitani, incubo  da cui i più abbienti sfuggono andando a perfezionarsi altrove mentre gli altri, i molti altri,  avviliscono le proprie qualità in lavori sottopagati e in nero, giungendo alla fatidica soglia dei quarantanni,  svuotati di ogni energia e privi di ogni esperienza curriculare adeguata ad un corretto inserimento occupazionale. E ciò in un mercato del lavoro che li considera ormai troppo anziani per investire su di essi e troppo giovani per un pensionamento che  sarà loro consentito non prima di altri trenta anni.
Dalla breve e succinta analisi del fenomeno dell’emergenza giovanile e della conseguente disoccupazione (che per la Sicilia e Palermo è un dato strutturale,  affatto dipendente dalla crisi attuale) appare evidente che tutto ciò accade perché competenze istituzionali che dovrebbero incontrarsi e completarsi,  di fatto si ignorano se non addirittura, si ostacolano reciprocamente.
Ne emerge una tripartizione dell’universo giovanile palermitano: una minima parte che si salva - avendo le risorse o il coraggio di andare incontro al futuro, pur senza mezzi - andando via prima che sia troppo tardi, una parte cospicua che si rassegna e – fenomeno in crescita tra le giovani donne -  rinunzia alla ricerca del lavoro, una parte mediana che vegeta in attesa di interventi miracolistici, in passato alimentati da una classe politica responsabile davanti a Dio e agli uomini (e prima o poi ai giudici) di aver distrutto il carattere e il futuro di due generazioni di giovani palermitani, oggi aggrediti da un potente analfabetismo di ritorno e in situazione di fortissimo ritardo culturale, linguistico nonchè di consapevolezza sociale rispetto ai coetanei delle altre regioni d’Europa..
Appare opportuno dunque, prima di evocare fantomatici Assessorati, rutilanti Informagiovani (peraltro passati di moda da oltre venti anni) o nuove Agenzie di qualsivoglia natura,  molto appetiti da ambienti vicini a tutti le forze politiche, che si abbia il coraggio far funzionare le istituzioni locali che hanno il dovere di garantire il diritto allo studio, alla formazione e all’avvio al lavoro, come costituzionalmente previsto. Si investa piuttosto in processi di internazionalizzatone nel corso della formazione dei giovani, in scambi interculturali, in esperienze durature e pregnanti in culture e società da cui abbiamo molto da imparare e tanto da proporre, utilizzando le cospicue e mai considerate risorse di quell’Europa che da Palermo abbiamo sempre e solo percepito come una “mucca da mungere” e non tanto di una straordinaria opportunità di crescita e di confronto, smettendo, una volta per tutte di sentirci il “sale della terra”. Sotto tale profilo, pur essendo tra i Paesi fondatori dell’Unione, abbiamo molto da imparare da quelli che più recentemente vi sono entrati ed i cui esponenti che si occupano di giovani troviamo costantemente presenti, con una perfetta padronanza della lingua inglese, nelle migliaia di laboratori da Lisbona a Oslo e da Madrid a Tallin,  in cui in questo momento si sta costruendo il futuro di giovani generazioni che non sapranno mai cosa significhino le drammatiche parole “precariato” e “stabilizzazione”.

domenica 1 aprile 2012

Perchè Orlando: le ragioni di una scelta

La mia candidatura al Consiglio Comunale
a supporto di Leoluca Orlando:
le ragioni di una scelta che ha radici lontane




L' ufficializzazione della candidatura di Leoluca Orlando a Sindaco e la straordinaria affluenza di sostenitori il 31 marzo al Cinema Golden  restituiscono a Palermo e ai Palermitani la fiducia in futuro possibile.
In altre riflessioni pubblicate su linksicilia.com e repertoriate in questo blog ho analizzato in più occasioni  i benefici che la città di Palermo trarrà da un Primo Cittadino, largamente accreditato sulla scena internazionale, profondo conoscitore degli umori di ogni ceto della Città e del funzionamento della macchina amministrativa.
Tutti siamo che consapevoli che l’elettorato di Leoluca Orlando è il più trasversale che si sia mai misurato a Palermo.

Lo conosco e frequento dal 1982: figlio dell’alta borghesia cittadina erede della nobiltà agraria, brillante studente prima e studioso dopo, animatore dei principali eventi di cambiamento degli ultimi 40 anni e percepito contemporaneamente come il più “palermitano” e il più “internazionale” dei sindaci, egli è percepito come inscritto nel cuore di questa città che non ha mai dimenticato come  ne abbia riscattato l’identità nel mondo negli anni che seguirono le stragi del 93. Ciò mi indusse a rientrare da Treviso, dove vivevo da alcuni anni e ad essere al suo fianco quale Consigliere di maggioranza dal 1994 al 1997 e mi porta ora a sostenerlo nuovamente "mettendoci la faccia".



Tale sentimento è rimasto pressoché immutato, nonostante alcuni equivoci abilmente orchestrati e di cui nel corso della presentazione del libro di Fabrizio Lentini “La Primavera breve” si è avuto occasione di fare chiarezza; votano per Orlando esponenti della residua nobiltà, l’alta borghesia cittadina non compromessa con il Cuffarismo/Lombardismo, professionisti e imprenditori, sovente suoi compagni di scuola o allievi o, più in generale, amici di una vita. Soprattutto però, declinato il populismo drogato dalle illimitate risorse economiche poste da Berlusconi a sostegno della triste figura di Cammarata (accertati brogli, a parte),

Orlando torna ad essere il beniamino degli strati sociali più popolari, che ne hanno sempre apprezzato la capacità di farsi capire e di farsi percepire come un figlio autentico, più fortunato magari per nascita, dell’anima ancestrale della città. In una parola, hanno percepito di condividerne quell’identità cui ciascuno aspira quando è aiutato a liberarsi dall’appartenenza e dai pregiudizi culturale che ne bloccano, agli occhi del mondo, ogni prospettiva di sviluppo nella società globale.

Restano indimenticabili gesti da vero palermitano quale la devozione a Santa Rosalia (da anni non più salutata durante il Festino dal tradizionale grido lanciato dal Sindaco e che è di nuovo risuonato oggi tra applausi e standing ovation,  il grande amore per la gastronomia locale, per la convivialità, la profonda conoscenza e attenzione verso le risorse umane, ambientali ed economiche del territorio  e potrei continuare ad elencare.

Un Orlando dunque, di cui, oltre all’indiscussa e testimoniata scelta di legalità e di lotta vera alla mafia e al collateralismo della politica, che sarebbe ridondante riepilogare, si apprezzano autenticità, coraggio fisico, approccio “energetico” ai temi più scottanti. Il tutto, unito ad una enorme capacità di lavoro che ne ha sempre contraddistinto lo stile personale, manageriale e politico.

Su piani di maggiore contenuto, nessuno ha mai messo in discussione la sua morale privata, la sua fede religiosa “adulta” e consapevole al punto da permettersi, senza che questo ne intaccasse l’immagine, ogni legittima critica verso una dimensione temporale della Chiesa, troppo spesso dimentica della svolta conciliare. Tutti ricordiamo la  contestazione aperta verso Monsignor Salvatore Cassisa, discusso Arcivescovo di Monreale poi canonicamente rimosso, in occasione della seconda visita di Giovanni Paolo II a Palermo. Un cattolico autenticamente “protestante”  consapevole della ricchezza che nasce dall’incontro con altre fedi e culture, come è inevitabile per chi ha avuto nel mondo tedesco ed europeo profonde esperienze formative in anni cruciali del ‘900, straordinari Maestri di pensiero e costanti e attuali relazioni e riconoscimenti di rilievo mondiale.

L’autoironico accostamento con Federico II con cui in passato Orlando fece versare a molti Soloni fiumi di parole inutili, in realtà sottolinea la consapevolezza di esprimere una dimensione locale/globale che non ha precedenti tra i politici siciliani e che è sempre tornata utile all’immagine della Sicilia e dei siciliani in Europa e nel mondo.
Orlando è, ovviamente, anche antipatico a molti, ma non al punto da non riconoscere che nei momenti difficili che attendono il Paese e in quelli drammatici che la Sicilia e Palermo già toccano con mano, egli rappresenta la persona più adatta a condurre la nave nella tempesta.





Risalta agli occhi di chiunque in buona fede analizzi i candidati che gli si contrappongono, la differenza di competenza, di energia, di credito internazionale, di capacità di infondere nuove energie, anche psichiche, alla Città. Il refrain che egli “non abbia generato una classe dirigente”, evitando di far crescere i propri collaboratori è stato sovente un alibi: il prezzo che Orlando richiede per abilitare alla leadership è altissimo sul piano culturale, spietato su quello dell’intelligenza, intransigente su quello della morale. Da allievo dei Gesuiti, sa bene discernere tra doti vere da incoraggiare e sviluppare e semplici, normali livelli di intelligenza comune, adatti ad essere, e a far restare, “buoni collaboratori”.



La grande intuizione di inviare ogni anno mille giovani palermitani di ogni estrazione sociale selezionati per capacità e per potenziale, a formarsi in Europa con lo specifico mandato di immettere nuove intelligenze per rinnovare la classe dirigente e imprenditoriale e, al tempo stesso la scelta di ospitarne a Palermo altrettanti provenienti dall’Unione Europea perché ne diventino ambasciatori nel mondo, rappresenta una novità assoluta nella progettualità politico/amministrativa italiana, quale strategia per lo sviluppo di una nuova classe dirigente. E tutto ciò utilizzando cospicue risorse europee predisposte a tale scopo e mai prese in considerazione da un Sindaco che aveva addirittura soppresso l’Ufficio Europa del Comune.

Orlando sarà per Palermo “uomo della Provvidenza”? Non lo crediamo e non lo vogliamo. Orlando risolverà i drammatici problemi dell’occupazione, del degrado, dell’emigrazione dei cervelli. e delle braccia? Non possiamo predirlo, ma con certezza sappiamo che l’uomo ha le caratteristiche personali e le potenzialità relazionali per restituire alla Città credito, dignità e fiducia, che oggi rappresentano un immenso capitale sociale e l’unico percorso per attrarre investitori esterni, riportando Palermo nei circuiti internazionali dell’arte, della cultura, del turismo della green e della blu economy e delle risorse che da ciò provengono e che sono evocate e convocate dalla cifra dell’accoglienza che vede già nel nome della città il proprio destino (Pan-ormos, tutto porto).

Certamente, come ogni Sindaco, Presidente della Regione e o del Consiglio di ogni parte d’Europa gli toccherà di chiedere sacrifici anche pesanti in termini di snellimento di una burocrazia ipertrofica che ci rende ridicoli ed inaffidabili in ogni confronto, sarà determinato nel rimuovere gli apparati clientelari degli ultimi dieci anni, nel chiedere trasparenza e chiarezza dove oggi regnano ambiguità e trasformismo.




E la Città lo seguirà perché sa che potrà tornare a fregiarsi di quelle tre A, che non sono solo il rating finanziario che, grazie alle scelte gestionali operate da Orlando, Palermo raggiunse tra il ‘93 e il 2000, ma soprattutto simboleggiano tre valori per i quali i siciliani in genere hanno sovente sacrificato anche la vita: Apprezzamento da parte degli altri, Audacia della ribellione all’ingiustizia, Amicizia per coloro che non barattano l’identità con la schiavitù dell’appartenenza.

Tre valori molto siciliani, che nessuna mafia potrà mai pervertire, saranno frutti maturi di una primavera che, giustamente diversa da ogni altra che l’abbia preceduta, abbiamo il diritto/dovere di far sbocciare e in cui cresceranno stavolta non solo fiori effimeri ma anche frutti concreti ricchi di semi per il futuro.

Il 6 e il 7 maggio 2012, i Palermitani apriranno una pagina nuova della propria storia millenaria, come in passato hanno sempre saputo fare quando ogni limite era stato superato, ogni dignità calpestata, ogni futuro precluso, tornando a testa alta tra i popoli che scelgono da se stessi  il proprio destino.