mercoledì 26 novembre 2014

JFK e Matteo Renzi: oltre mezzo secolo dopo, le analogie possibili



A differenza dello scorso anno, 50^ dall’assassinio di Dallas, poco risalto sembra aver avuto la ricorrenza di uno dei fatti che maggiormente hanno scosso il XX secolo.
Nell’articolo pubblicato su Sicilia Informazioni nel 2013 http://www.siciliainformazioni.com/62018/dallas-1963-in-morte-di-un-uomo-piu-grande-del-suo-tempo   e cui rimando l’attenzione del lettore, 
ho avuto modo di ricostruire la vicenda personale e politica di un protagonista assoluto del cambiamento e alla cui visione del mondo si sono ispirati milioni di giovani, determinandone le successive scelte professionali e politiche.
Trovo opportuno quest’anno individuare alcune possibili analogie tra JFK e Matteo Renzi senza indulgere a paragoni eccessivi e, al tempo stesso, non trascurando di riflettere su alcuni tratti comuni di personalità e sulle molte analogie del messaggio politico.
Le prime analogie riguardano l’età, l’identità cattolica e la conseguente ispirazione alla Dottrina Sociale, il franco e leale contrasto alla visione marxista della vita, della società, dello Stato, dell’economia e della giustizia. Non sono di minore importanza la disinvoltura della comunicazione, il gusto della sfida all’avversario, la consapevolezza di essere una risorsa indispensabile, il piacere del rischio nell’opporsi agli interessi di corporazioni e di lobby che tentano sempre di “limitare il danno” derivante da svolte che pur sanno bene essere ormai inevitabili.
Molti giovani leaders dagli anni 70 in poi hanno cercato di ispirarsi a JFK. In Italia nessuno di essi ci è riuscito e prima o poi è tornato nel gregge dei conformisti o ha dovuto rassegnarsi ad essere “delfino a vita” di questo o di quel politico che ne ha come risucchiato le energie vitali. Si pensi a Fini dopo Fiuggi, a Casini dopo la fine della DC, ai tanti giovani cresciuti nella transizione dal PCI/DC al PD tra l’89 e il 2013 come Veltroni, Orlando, Franceschini e Letta o al primissimo Rutelli, tra i radicali. Oggi scrivono memorie e accettano con difficoltà l’opportunità del ritiro.
Una significativa analogia tra Kennedy e Renzi può essere rintracciate nella politica anti segregazionista che per il primo si sostanziò nei confronti dei neri americani e per il secondo si esprime verso il popolo dei giovani e spesso iperqualificati precari, assolutamente ignorati del sindacalismo tradizionale e portatori di nuovi valori di partecipazione, di rivendicazione del merito sull’anzianità, dell’iniziativa sul conformismo, della non appartenenza sull’ adesione fideistica e passiva di natura ideologica. 

Pur in contesti e in epoche profondamente diverse, entrambi hanno guadagnato presto la fiducia dei cosiddetti poteri forti da sempre attenti al fatto che in certe fasi occorrano leaders veramente nuovi, o almeno come tali percepibili dal corpo sociale, per gestire cambiamenti di assetti politici, finanziari, economici e sociali attraverso processi razionalmente individuati che non scuotano le fondamenta delle istituzioni e azzerino invece la minaccia dell’ antipolitica e dell’anarchia, pur scontando un altissimo tasso di astensionismo che, degno di rispetto, non ha però rilevanza nel concetto di democrazia rappresentativa dove, comunque, la maggioranza, anche di pochi purchè legittimamente eletta, governa. Un fenomeno che sempre di più sembra avvicinare USA, dove esiste da decenni e UE dove ha iniziato a manifestarsi già da alcuni anni.


Da ultimo, va rilevata la dimensione internazionale che – certamente più nel caso di un presidente americano – conferisce visibilità a chi la esercita ma che nella sostanziale inazione dell’Unione Europea, l’ex sindaco di Firenze, comunque si pensi, ha portato a Bruxelles e a Strasburgo e all’attenzione dei vertici della Troika (BCE, FMI, Unione) allontanando il destino della Grecia e ottenendo un inedito rispetto per l’Italia e per il partito di maggioranza, oggi asse portante della proposta progressista e democratica al Parlamento Europeo. 
Il “ciclone” Kennedy fu l’inizio del tramonto di un “America” WASP (bianca, anglosassone e protestante) un po’ bacchettona, rigidamente conformista, visceralmente anticomunista ed abituata a considerare il resto del Pianeta come un feudo assegnato da quel Dio onniveggente il cui occhio ancora oggi campeggia sulla banconota da un dollaro. Ciò non tardò a procurare a JFK pericolosi nemici tra quanti – eredi irriducibili di quel maccartismo che aveva quasi azzerato la cultura statunitense – criticavano il suo atteggiamento di ricerca di un dialogo, pur prudente e cauto, verso l’Unione Sovietica ed i Paesi non allineati. 
Edgar Hoover, il potente fondatore dell’ FBI, nutriva per il giovane presidente una profonda avversione che non nascondeva e in più occasioni mirò a screditarne la reputazione.
L’instancabile Matteo Renzi, veloce di pensiero e di parola, sembra avviato a tracciare definitivamente tra il post comunismo – stagione infinita caratterizzata dalle mille ambiguità e dalla permanenza degli stessi leaders di sempre – il pensiero progressista senza ulteriori aggettivi o “trattini”, superando le categorie politiche del XX secolo e pretendendo di essere giudicato solo sui risultati conseguiti in tale direzione di marcia. Anche in questo caso non stanno mancando e non mancheranno nemici irriducibili che cercheranno in ogni modo di ostacolarlo mettendogli contro la demagogia e il populismo come alcuni si apprestano a fare con il prossimo, incomprensibile, sciopero generale. Un fenomeno sociale che sembra simile ad uno spettro che si sporga da un sepolcro, parlando ai posteri in una lingua morta. 
E se un possibile Hoover è individuabile anche in Italia, magari per interposta persona, potrebbe anche trovarsi davanti a fulminanti battute che avrebbero a che fare, stavolta, con i baffi. In conclusione, mentre sembra tramontata la breve stella di Barack Obama che neanche nel frettoloso conferimento del premio Nobel è riuscita ad oscurare quella di JFK, il modello Renzi in Italia e soprattutto in Europa sembra rinnovare l’epifania di una leadership dalle caratteristiche ripensate che periodicamente il mondo impone a se stesso per liberare nuove energie, inedite visioni e più adeguate ricapitolazioni del pensiero collettivo. 
La mia generazione si è sempre chiesta cosa sarebbe diventato il mondo senza la drammatica interruzione di quel pomeriggio in Texas ed è consapevole che, per esempio, il conflitto in Vietnam sarebbe stato evitato, come si era fermata sull’orlo della prima guerra atomica la crisi dei missili a Cuba. 
Forse a Gerusalemme il cristiano Kennedy avrebbe gridato “io sono un palestinese”
Sul piano sociale, probabilmente oggi non avremmo la crisi di Ferguson che rischia di dilagare in larga parte degli stati americani più toccati dall’ assenza di una reale integrazione razziale.
Nel caso di Renzi, abbiamo la possibilità di ottenere una risposta a quegli interrogativi, se solo siamo disposti ad aprire la mente verso una definitiva confluenza della piccola Italia di periferia in un’ “Europa delle persone e non dei tecnocrati” richiamata oggi da Papa Francesco e finalmente all’altezza del sogno di coloro che, poco più che ventenni, la concepirono in esilio a Ventotene, quando ancora la guerra dilaniava le popolazioni del Vecchio Continente. In questa prospettiva l’analogia tra JFK e Matteo Renzi potrebbe non essere più solo una riflessione dovuta nell’anniversario di Dallas ma l’ennesimo passo avanti nella consapevolezza di imporre definitivamente il silenzio a quel fucile che, anche senza proiettili d’acciaio, è sempre pronto a tentare di bloccare il futuro.

La linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale.(Rossi, Spinelli, Colorni,Manifesto per un’Europa Libera e UnitaVentotene 1941).

Articolo pubblicato su Sicilia Informazioni il 26 novembre 2014

sabato 15 novembre 2014

A Palermo come a Roma stop del PD ai sindaci ircocervi



    Un singolare destino sembra unire in queste ore la capitale d’Italia e il capoluogo siciliano. Due sindaci famosi quali Ignazio Marino e Leoluca Orlando,  eletti ad un anno di distanza con largo consenso, pare stiano deludendo le aspettative dei cittadini e collezionano umilianti sconfitte sia   nell’ amministrazione delle rispettive città,  che sul piano dell’immagine internazionale delle medesime.

     Si tratta di due personalità forti e determinate,  dotate di un indubbio carisma che al sindaco di Palermo proviene da un ormai lontano glorioso passato di un‘antimafia d’antan e al titolare del Campidoglio da recenti ma non meno importanti prese di posizione assunte da parlamentare sul versante dell’affermazione dei diritti civili e dell’attenzione ai temi cosiddetti etici.

     Sono sotto gli occhi di tutti i limiti che entrambi i sindaci stanno rivelando sia sul piano politico poiché sovente esorbitano dal proprio ruolo e pretendono di recitare parti da protagonisti nazionali che non dovrebbero loro appartenere, sia sul versante amministrativo,  come dimostra la palese incapacità di assicurare  un livello accettabile dei servizi alla collettività,  mentre lasciano indisturbate pletore di dipendenti diretti e delle società partecipate, non sempre indispensabili ma molto utili al consenso personale presente e futuro.

    Le recenti contestazione del sindaco a Tor Sapienza e la perigliosa approvazione del molto discutibile bilancio di previsione 2014 del comune di Palermo che prima o poi dovrà vedersela con i rilievi della Corte dei Conti, destano non poche preoccupazioni nel principale partito del Paese, rispetto al quale i sindaci in questione si pongono ormai come antagonisti, cercando dove possono di rubare la scena al premier o di superarsi a vicenda nel far notizia sulla stampa locale e, soprattutto,  nazionale.


    
     A Roma, le frequenti gaffe di Ignazio Marino, le ombre che sembrano crescere sulla reputazione personale e professionale (Marino è stato nel 1999 tra i fondatori dell’ISMETT di Palermo e sono di questi giorni la polemiche relative a comportamenti contestatigli dalla casa madre dell’Istituto, l’UPMC di Chicago http://www.ilfoglio.it/articoli/v/114617/rubriche/ecco-la-lettera-che-svela-come-marino-fu-allontanato.htm) e, da ultimo,  le polemiche al calor bianco nelle periferie della Capitale stanno mettendo in grave imbarazzo il Partito Democratico che, sotto la guida di Bersani (sembra un secolo fa)   lo sostenne nel 2013  - con il concorso di SEL e del Movimento, oggi estinto,  dell’ex magistrato Antonio Ingroia - e che oggi si prepara a chiederne le dimissioni.


     A Palermo, già a partire dal turno di ballottaggio nel 2012,  si è costruita un’alleanza de facto con il centro destra -  in cui la moneta di scambio sono le molte approvazioni delle delibere dell’amministrazione Cammarata, ferocemente avversate negli anni dell’opposizione al sindaco forzista – scelto come stampella ad una traballante maggioranza e contrapposta al Partito Democratico, fermamente determinato a contestare ad Orlando, anche a costo di chiederne l’uscita di scena, l’ambiguità di fondo e le scelte  circa le politiche sociali e quelle riguardanti le società partecipate i cui bilanci  dal 2015 dovranno confluire nel consolidato del Comune,  mettendone a soqquadro il momentaneo formale, equilibrio.



     Il nuovo corso del PD e la indisponibilità di Matteo Renzi a condividere la leadership con chicchessia,   non possono trovare  molti punti in comune con personalità di spicco quali Orlando e Marino che preferiscono giocare partite personali e, talvolta, da “prime donne” della politica,  insofferenti a qualsiasi lavoro di squadra. Dopo un iniziale tentativo di costituirsi come sindaci arancione (sic!),  al pari di De Magistris a Napoli e, per qualche verso anche Pisapia nella Milano dell’Expo 2015,  i primi cittadini di Palermo e di Roma sembrano sempre di più “uomini soli al comando” isolati come sono da forze politiche di respiro nazionale e, in particolare, dal partito sulla cui nuova trasversalità  tutti i settori  -  ed i Poteri - del Paese sembrano aver già deciso di puntare per gli anni a venire.

    Sembra essere definitivamente tramontata quella stagione del Partito dei Sindaci, rilanciato lo scorso anno dopo una prima edizione negli anni ’90 e che si oggi si identifica – talvolta utilizzando surrettiziamente il ruolo dell’ANCI - nell’opposizione alla scelta del Governo di costringere i Municipi,  attraverso il salutare taglio dei trasferimenti e il conseguente maggior aggravio della tassazione comunale, a confrontarsi con le proprie, spesso immani, inefficienze e con le macroscopiche incapacità gestionali,  non sempre portate all’attenzione dell’opinione pubblica con la stessa crudezza riservata agli sprechi dello stato centrale e, in qualche caso,  poste a fondamento di scalate personali verso ben più ambite poltrone.

     In tale contrapposizione, con grande disorientamento dei cittadini, sta emergendo un’  identità politica, talvolta confusa ed ambigua,  di alcuni dei sindaci più inclini al protagonismo che sembra ricordare la definizione di “ircocervo” che già nell’antichità, designava un animale mitologico  descritto come: “avente corna di cervo, e il mento irto per la lunga barba, spalle pelose, impeto velocissimo nel primo correre ma facilità a stancarsi subito”. 




     Una definizione traslata poi nel linguaggio politico del XX secolo da Benedetto Croce e, in tempi più recenti, da Francesco Cossiga che  descriveva icasticamente l’impossibilità - salvo a suscitare il senso del ridicolo  - di conciliare taluni opposti,  per l’appunto inconciliabili e che Umberto Eco ebbe a definire “come una coesistenza impensabile tra entità e nature diverse, secondo un percorso assimilabile al nome della Chimera”.
    Un senso del ridicolo che i cittadini italiani, con tutta evidenza,  non sono più disposti a consentire a quanti preferiscono l’individualismo egocentrico del fantasista all’umiltà dell’ amministratore efficace alle prese con una sempre più difficile quotidianità, spesso in conflitto  con gli ineludibili ed epocali cambiamenti in ogni settore che, pur con una sofferenza non sempre equamente distribuita, stanno trasformando anche il nostro Paese.

Pubblicato da Sicilia Informazioni.com con il titolo Palermo e Roma, le vite parallele di Orlando e Marino. http://www.siciliainformazioni.com/134899/palermo-roma-vite-parallele-orlando-marino








domenica 9 novembre 2014

Venticinque anni dopo il muro: il mondo è migliore ?


Venticinque anni fa cadeva il Muro di Berlino. Si concludeva simbolicamente quel “ secolo breve” la cui estensione temporale, secondo lo storico britannico Eric J. Hobsbawm, può essere compresa tra il 1914 e il 1991. Il parlamento italiano, con la legge n. 61 del 15 aprile 2005, ha dichiarato il 9 novembre “Giorno della libertà” una data simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo.
Ho dedicato lo scorso anno un altro genere di riflessioni a questa ricorrenza. Preferisco oggi interrogarmi sui cambiamenti che , come i cerchi concentrici generati da un sasso gettato in uno stagno, nel volgere di cinque lustri quel crollo provocò nel mondo di allora, refluendo significativamente sul nostro presente.
Gli effetti di quell’evento epocale sono ancora oggi all’origine della maggior parte dei temi che agitano il nostro Paese e che sottolineano con evidenza quanto poco si sia saputo o voluto apprendere dalla portata simbolica che esso conteneva. Ne ricorderò tre, a mio avviso tra i più importanti ed attuali.
La caduta del Muro determinò un forte ridimensionamento del il ruolo strategico che sino a quel momento l’Italia aveva avuto nel Patto Atlantico in quanto frontiera immediata con “l’impero del male”, come  Ronald Reagan, in un teatrale discorso pronunciato l’8 marzo 1983, aveva definito l’Unione Sovietica
Da quel momento in Italia si cominciarono a “regolare i conti” con la parte della Democrazia Cristiana da sempre meno docile verso gli USA, vicina alla causa palestinese allora interpretata dall’ OLP di Arafat e favorevole al dialogo con i ricchi paesi petroliferi del nord africa, avviato negli anni ‘50 dall’ ex partigiano Enrico Mattei, inviso gli oligopolisti USA del settore, meglio noti come le Sette Sorelle; è opinione comune che a ciò possa farsi risalire la causa del misterioso incidente aereo in cui, provenendo dall’aeroporto di Catania, perse la vita nel 1962. Si proseguì con Bettino Craxi che da Presidente del Consiglio nel 1983 aveva avuto, tra l’altro, l’arroganza di pretendere che il mediatore dei terroristi responsabili del sequestro dell’Achille Lauro, quell’ Abu Abbas catturato e detenuto nella Base di Sigonella e successivamente fuggito, fosse processato in Italia e non negli USA. In pochi anni, dopo l’89, l’intera Prima Repubblica fu inquisita calpestando con il “consenso mediatico” anche le garanzie costituzionali, ricorrendo ad un’accusa infamante per un reato che era stato sino ad allora sotto gli occhi di tutti e da tutti tacitamente accettato. Era nata Mani Pulite con i suoi protagonisti palesi ed occulti e, mentre sorgevano dal nulla magistrati e opinion makers sino ad allora sconosciuti alle cronache, scomparivano dall’oggi al domani due settori fondamentali dell’economia, tradizionalmente italiani e fortemente concorrenziali sul piano internazionale: l’industria chimica e quella petrolifera.
Privato definitivamente – in modo ben più radicale rispetto allo strappo da Mosca già consumato da Berlinguer con l’eurocomunismo negli anni ’70- della propria matrice ideologica, il PCI da lì a poco avrebbe cessato di esistere, iniziando la lunga marcia durante la quale depurarsi di ogni imbarazzate eredità, attraverso le molteplici decantazioni del PDS, dei DS e le molte scissioni interne. Dopo la clamorosa sconfitta del 94,  i cosiddetti miglioristi, proprio a partire da Mani Pulite che aveva risparmiato i vertici di Botteghe Oscure, ne avrebbero guidato il percorso verso un Partito Democratico di chiara ispirazione americana, approdando con una nuova classe dirigente alla social-democrazia e isolando l’ala più estrema della sinistra, sino a ridurne ai minimi termini il consenso e ad escluderla dal Parlamento.
Alla luce dei nuovi equilibri mondiali e della momentanea ridotta rilevanza strategica dell’Italia, venne rinegoziato quel patto che , attraverso Cosa Nostra americana, nel 1943 aveva di fatto consegnato la Sicilia alla mafia in funzione di barriera anticomunista, ora non più necessaria. In tale riposizionamento la mafia isolana, nel frattempo egemonizzata dai Corleonesi di Totò Riina, diventava ora un micidiale braccio armato da utilizzare per tutte le occasioni in cui sarebbe servita come comodo paravento per depistare ogni tentativo di cercare altrove i ben più importanti costruttori di un nuovo ordine mondiale impegnati nella travagliata nascita della moneta unica già decisa dal Consiglio Europeo nel 1988. Soppressi fisicamente o politicamente gli antichi riferimento politici in Sicilia si gettavano le fondamenta per il sorgere di una nuova classe dirigente, facilmente ricattabile e cui era stata promessa l’impunità, abilmente nascosta dalla bandiera della nuova antimafia e che di fatto non disturbasse l’assestamento di nuovi assetti geopolitici europei e l’agibilità delle basi militari per controllare il Mediterraneo. E così è stato e sembra continuerà ad essere attraverso lo stretto controllo ormai imposto a Rosario Crocetta come salvacondotto personale e politico che ne sederà in modo sempre più evidente gli iniziali ardori “rivoluzionari”.
Collegare i tre mutamenti, necessariamente descritti in poche righe, con lo stato attuale della realtà italiana non è facile. Tuttavia sono possibili alcune considerazioni.
Durante quella transizione, si verificarono alcuni eventi imprevisti. Il primo fu certamente la “discesa in campo” di Silvio Berlusconi che, per quanto prioritariamente interessato a salvare le proprie azienda dall’avanzata della “gioiosa macchina da guerra”, di fatto raccoglieva l’eredità di Craxi in funzione anti comunista, ostacolando la metamorfosi di quella parte politica e diventando l’ancora di salvezza per i naufraghi della DC e del PSI, in Sicilia connotati ancora in buona parte da collegamenti con il milieu mafioso. Per venti anni egli è stato l’ostacolo da abbatter, non solo, come si è voluto dare in pasto ai più, per l’indubbio scarso profilo umano e morale e nemmeno per l’ampia gamma dei reati finanziari sicuramente ascrivibili alla sua condotta di imprenditore. A ben più illustri dinastie industriali protagoniste del salotto buono di Mediobanca, che sempre avversò l’Uomo di Arcore, era stato ed è ancora oggi perdonato molto ma molto di più.
Come in qualche misura ha ricostruito Alan Friedman, Berlusconi è stato il più ingombrante ostacolo per il cambiamento dei veri equilibri politico finanziari in Italia e in Europa e ne ha rallentato la definitiva transizione, pianificata decenni fa, attraverso un nuovo accordo atlantico, in vista del contenimento della nuova inarrestabile minaccia portata all’Occidente da parte del mondo arabo, a partire dalla caduta dei “poliziotti locali” largamente finanziati e armati per mantenere l’ordine nell’area (lo Scià di Persia sino all’avvento dell’Ayatollah Khomeini nel 1979 e Saddam Hussein, sino alla guerra del Golfo del 1991)
Sul ormai ex cavaliere si concentrò il più potente fuoco di sbarramento che mai più si registrerà nel nostro Paese e che è cessato nello stesso momento in cui quell’originario progetto ha potuto finalmente trovare il proprio inizio e consolidare le proprie posizioni. Oggi Berlusconi non fa più paura e potrà essere lasciato invecchiare in pace purchè garantisca che nessun altro abile quanto lui a captare il consenso possa prenderne il posto in quell’ irripetibile epifenomeno politico che ancora oggi è Forza Italia.
Il secondo imprevisto è stato rappresentato dalla straordinaria capacità di Vladimir Putin di restaurare il potere della Federazione Russa in grado di contrastare attraverso il ricatto energetico l’intera Unione Europea e di attrarre nella propria orbita quei paesi dell’ex URSS che, viceversa, prima o poi sarebbero stati inglobati nell’Unione. Tranne che l’ondata islamica non crei attraverso il braccio ceceno pericolose brecce nel suo sterminato potere, costringendolo a nuove necessarie alleanze con il mondo occidentale, Putin sarà a lungo una spina nel fianco dell’Unione ed eserciterà ancora per molti anni il proprio carisma, più prosaicamente sostenuto dagli oligarchi di cui, prima ancora che del popolo russo, egli è il leader indiscusso.
L’ultimo e più grave imprevisto sulla scena mondiale è stato rappresentato nel 2008 dall’ascesa di Barak Obama cui ormai negli USA si addebita quasi tutto, dalla crisi finanziaria ai fallimenti in politica estera. Salutato come l’Uomo del secolo ed immediatamente insignito del Premio Nobel per la Pace nel 2009, il primo presidente di colore non è riuscito ad intaccare in modo significativo l’anima profonda di un paese che resiste ancora fortemente a sostituire con una prospettiva mondiale più responsabile la propria atavica autoreferenzialità. Tra due anni probabilmente non torneranno alla Casa Bianca né i Bush né i Reagan, ma appare difficile immaginare a breve una nuova stagione di diritti umani e civili che riservi agli USA un ruolo di guida morale mondiale cui guardare, mentre appare più probabile una rinnovata leadership militare che troverà ogni facile giustificazione – oltre che per il largo consenso dell’industria americana che sogna un primato attualmente perduto – nel crescente pericolo islamico, oggi considerato una minaccia addirittura maggiore di quella recata dai totalitarismi del XX secolo.
Dopo venticinque anni dalla caduta del Muro di Berlino il mondo non sembra migliore e nuovi muri si alzano ovunque tra quell’ Umanità soffrente che nonostante il martellante e rivoluzionario messaggio di pace e di cambiamento di un Papa che nessuno aveva previsto, sembra non aver ancora compreso di appartenere ad un’unica comunità e continua a sprofondare nella palude del proprio egoismo.
Intanto, al posto delle note dello Stradivari Duport di Rostropovichè solo il dolore del mondo che risuona inutilmente nel silenzio dell’Universo deserto.

Articolo pubblicato su Sicilia Informazioni.com il 9 novembre 2014.

domenica 26 ottobre 2014

Articoli pubblicati su Sicilia informazioni.com dall' 1 gennaio al 27 dicembre 2014

2014

Dicembre
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Maggio
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Aprile
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Marzo
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Febbraio 
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http://www.siciliainformazioni.com/84882/quando-gli-scout-aprirono-cancelli-di-villa-trabia

http://www.siciliainformazioni.com/85222/renzi-la-giovine-italia-e-la-sicilia-al-rimorchio

Gennaio 
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