domenica 24 ottobre 2010

Nell' intervista rilasciata a Fazio Marchionne fa quasi rimpiangere Vittorio Valletta.



Vittorio Valletta (1883-1967) resse la Fiat
con pugno di ferro dalla morte di Edoardo Agnelli (1935)
e sino alla maggiore età di Gianni Agnelli
 

Adriano Olivetti (1901-1960) tra gli operai di Ivrea



Illuminante l'intervista di Fazio a Marchionne. Rivela quanto si possa essere ancora figli di una visione che individua nel profitto la misura omologante del successo aziendale. Sembrano dimenticati termini quali "responsabilità sociale d'impresa", "governance etica", valorizzazione del "genius loci", "economia della conoscenza" ecc. Marchionne afferma di voler produre solo vetture e camion ed, allora, non mi pare utile farne anche un testimonial in una trasmissione intelligente. Sotto il maglioncino casual, una durezza maggiore di quella del siciliano Vittorio Valletta, vituperato epigono del capitalismo italiano, ma che, almeno, dava del tu ai propri operai.
Quanta differenza con l'innovazione visionaria e anticipatrice del futuro di Adriano Olivetti che oggi l' Italia rimpiange di non aver saputo comprendere!

Se la Fiat sostiene oggi di non aver più bisogno dell'Italia, anche l'Italia comincia a non poterne più della Fiat.
Da essa il nostro Paese ha ricevuto molto ma ha pagato un prezzo altissimo che può essere sintetizzato in alcuni elementi:
1) l'ha privato di una rete ferroviaria moderna ed efficiente che in altri Paesi europei si è sviluppata negli anni;
2) ha generato la cultura dell'automobile come promozione sociale ma, al tempo stesso, dell'individualismo;
3) ha distrutto, con la complicià della politica locale, interi ambienti naturali del Mezzogiorno, sottraendoli allo loro vocazione naturale e ad uno sviluppo economico flessibile e sostenibile;
4) ha drenato consistenti risorse pubbliche, sia in modo diretto che indiretto;
5) ha sradicato culture e colture che oggi rappresenterebbero un fattore competitivo di rilievo;
6) ha creato il mito dell'uomo Fiat, paradigmatico dell'operaio/impiegato che rinuncia alla propria identità per fondersi con quella aziendale sino a parlarne il linguaggio, anche in famiglia.

Non è un caso che Ulderico Capucci, tra i massimi esperti italiani di management,  narri spesso di aver preferito in giovane età l'assunzione nell' Unilever di quegli anni, già all'avanguardia nelle politiche di sviluppo delle persone,  piuttosto che nella Fiat-Caserma di Vittorio Valletta.

Certamente negli anni '50 e '60 il modello Fiat contribuì ad elevare il tenore di vita e le aspirazioni di un 'Italia (meridionale) da rurale a metropolitana, favorendo alfabetizzazione, mobilità e caduta di pregiudizi sociali. Ed è per questo che il Paese ha tollerato (e pagato) sino ad oggi tale  presenza pervasiva.
Oggi, alla stizzosa insofferenza di Marchionne corrisponda l'olimpica indifferenza di un Paese che, del pari globalizzato, compra le vetture che vuole sui mercati che vuole e che non può più essere ricattato su valori non negoziabili,  dallo spettro di una disoccupazione nel settore auto che, comunque,  arriverà ugualmente perchè la Fiat è già altrove.

Di ciò tengano conto FIOM e CGIL, ad oggi le principali  e ingenue (?) sponde all'algida alterigia canadese di Sergio Marchionne.
Prima che sia troppo tardi.

http://www.youtube.com/watch?v=SfKCGqa68wY

sabato 2 ottobre 2010

La realtà liminale:costruire/decostruire continue modalità e competenze per abitare la complessità


Appare sempre più evidente come l’attuale crisi porti con sé anche la sigla di chiusura dell’economia industriale e di quella che, a lungo, abbiamo definito “post moderna”. Un lungo periodo di difficoltà economiche quale quello che ancora si prospetta (il PIL in Italia dovrebbe tornare solo tra 5 anni a quello della vigilia della crisi) sta archiviando in modo traumatico il novecento e si sta rivelando come l’incubatore di nuovi costrutti filosofici e di inedite modalità organizzative. Non vi è dubbio che dopo questa crisi (dove la parola “dopo” ha un senso molto relativo, visto che il mondo procederà di crisi in crisi come più volte preannunciato) il mondo globalizzato si ritroverà con nuovi paradigmi geopolitici, nuove leadership internazionali, nuove aggregazioni economiche e nuovi paradigmi sociali.
Si può allora dire della fase attuale come essa sia “liminale” cioè rappresentativa di una situazione confinaria rispetto all’inedito in molti settori. Una vera e propria situazione di frontiera il cui varco è aperto solo per quanti sono consapevoli che esso esista e non siano piuttosto rivolti (past oriented) al rimpianto di un passato non replicabile. Ciò vale per le economie, per le società, per i sistemi di governance pubblica e privata, per il mondo della conoscenza e soprattutto vale per le consapevolezze individuali, di genere e di ruolo ancora sostanzialmente traguardate sul secolo scorso. Ne deriva che in alcuni campi di riflessione avanzata quali quelli dell’università, della ricerca e sviluppo, dell’analisi strategica, delle scienze del management e dell’alta formazione, naturalmente “obbligati” a confrontarsi con il futuro prima di altri soggetti, si stia svolgendo una vera e propria rivoluzione culturale, pur nella esiguità di mezzi finanziari ad essi ancora oggi destinati.
Le principali caratteristiche di una realtà liminale, avvicinabile a grandi linee a fasi del passato analoghe per tipologia ma non paragonabili per portata, vastità e complessità contestuale quali la caduta dell’impero romano, la scoperta dell’America o il fenomeno dell’inurbazione del XIX secolo, possono essere raggruppate in alcuni costrutti fondamentali…
  • La liminalità conferisce ansia a individui e ad organizzazioni e sostituisce il senso del fine con quello “della fine” di un’epoca e delle relative certezze, proiettando gli attori, primari e secondari, nell’incertezza profonda e nella baumiana liquidità di valori e di prospettive; essa pone una nuova domanda di significato pur avvertendo che la risposta non sarà mai più esaustiva.
  • La liminalità, per la natura confinaria che le è propria, costringe a “guardare l’altro da sé” e a conferirgli, talvolta malvolentieri, dignità e diritto di esistenza oltre ogni semplice “tolleranza”; ciò vale per mondi, culture e sistemi di pensiero sia individuali che collettivi.
  • La liminalità, poiché come tutti i varchi presenta punti delimitati di passaggio, non consente di traghettare nel futuro nulla più che parti dell’identità, rendendo necessario l’abbandono di ciò che non solo non è più utile ma che, proiettato nel futuro, ne pregiudicherebbe la piena realizzazione; essa è dunque un passaggio a maglie strette che molto probabilmente lascerà indietro individui, territori e collettività: i “doganieri” intransigenti della liminalità sono già oggi l’interesse pubblico, ormai mondializzato e rappresentato da attori spontanei e spesso non governativi, le invalicabili condizioni di sostenibilità dello sviluppo, gli oltre 4/5 di umanità finora non considerati per la definizione di modelli di sviluppo.
  • La liminalità ha epifanie a volte eclatanti e scenografiche quali i grandi mutamenti geologici, climatici, sociali e politici e, al tempo stesso, è popolata da micro manifestazioni comportamentali del singolo e delle società, nel privato e nel pubblico, inizialmente incomprensibili perché ancora mancati di un codice semantico che le decifri e le collochi in quella che un tempo veniva definita “la temperie” della nuova epoca; essa si serve di antichi simboli in modo nuovo ed è, a sua volta, potente generatrice di simboli inediti.
Il quadro sopra definito trova impreparati individui, società ed organizzazioni che, sovente, pur sollecitati da segnali deboli, ne hanno ignorato il potenziale evolutivo preferendo restare “present oriented” quando non addirittura “past oriented”. Non è la prima volta, peraltro, che l’Umanità si lascia cogliere impreparata dal cambiamento e vi soccombe: la differenza con l’attuale situazione è che stavolta non sono mancati né la consapevolezza né il tempo per fronteggiarne gli effetti. È vero, infatti, che la crisi finanziaria non era stata prevista dagli analisti sino al 2007, ma è altrettanto vero che i segnali di cedimento e la progressiva liquidizzazione del novecento erano stati annunciati da studiosi in più campi (Hobsbawm, Bauman, Rifkin, Fukujama). Gli ammonimenti circa “il secolo breve”, “la società liquida”, “l’era dell’accesso” , la – a lungo irrisa – “ fine della storia”, pur ricchi di proposte di percorsi per preparare il passaggio alla liminalità non sono riusciti ad influire sui potenziali decisori di grandi o piccoli “cambiamenti di rotta” da porre in essere in tempo utile.
La sfida dei prossimi anni sarà dunque saper costruire/decostruire continue modalità e competenze per abitare la complessità, attestandosi sui bordi dell’inedito e acquisendo familiarità con ciò che ancora sembra non essere.

venerdì 1 ottobre 2010

Otto punti per il rilancio di Palermo, con il coraggio di guardare in alto





Antica capitale della Sicilia e del Mediterraneo, città d'arte e di cultura, fondata intorno al suo porto, Palermo è da sempre stata punto d'incontro e di scambio fra storie, culture, razze e uomini diversi (dal Preambolo dello Statuto Comunale)

1)Palermo città giardino nel cuore del Mediterraneo
Ancora oggi gli arabi hanno nostalgia di Palermo che ricordano come terra di acque e di frescura, contrapposta all'aridità dei deserti da cui provenivano. Il disegno del centro storico non a caso favorisce la canalizzazione della brezza marina, gli edifici si contrappongono per darsi ombra e ogni falda genera una fontana. La Zisa per esempio, dispone del più antico sistema di aria raffreddata con acqua.
Che fare ?
a)Chiusura al traffico privato nell'intero Centro Storico dalla Statua alla Stazione e da pora Nuova a Porta Felice, in attesa della metro leggera che servirà anche il centro
Rigorosi orari per scarico merci solo con furgoni. Divieto assoluto per autoarticolati.
b)Grande piano di fioritura dei 4 assi (esempio di questi gioni a Parigi)
c) realizzazione del Parco Centrale (da Villa Trabia agli spalti dell'Ucciardone, superandovia Libertà con un tubo pedonale trasparente) emendamento al PRG 1997 a mia firma e ancora vigente

2)Palermo città aperta
Palermo appartiene più al Mediterraneo che all'Italia ed è li che deve guardare, piuttosto che farsi venire il torcicollo e guardare all'indietro verso un'Europa cui non interessa, se non sul piano turstico (se va bene)
Che fare?
a)Conferimento di cittadinanza mediterranea a tutti i cittadini dei Paesi rivieraschi (non è una novità, era prevista per il 2010 (Sic!), prima che la Francia bloccasse tutto
b)Piena apertura dell'Università ai giovani del Mediterraneo esentasse
c)Riconversione del circuito delle Caserme (ora ci aiuta il federalismo demaniale) per campus e alloggi universitari

3)Palermo città multi etnica
Lo troviamo scritto nello Statuto, quindi non è un sogno...è legge!
Che fare?
a)Apertura dei centri d'identità, sul modello delle 4 repubbliche marinare che avevano in città le proprie chiese, ovviamente al fine di favorire l'integrazione, non calpestando le identità.Offrirebero ogni tipo di servizio alla persona e sarebbero collegati con i centri per l'impiego e con le struttire di prima alfabetizzazione della lingua
b) Sviluppo dei talenti attraverso la selelzione dei migliori potenziali e l'offerta gratuita di percorsi di alta formazione e di ingresso nei circuiti relazionali significativi della Città (mio progetto Rotary, presentato a Vil Niscemi il 13 giugno scorso con Comune, Confindustria, Confcommercio, Provncia e Università) Obiettivo: avere in 5 anni una classe dirigente muliticulturale
c) Missioni di sviluppo nell'area sub sahariana (inutile crogiolarsi nell'idea di dar lezioni a Tunisia e Marocco, più avanti di noi di oltre 10 anni su molti versanti...andateci..)

4)Palermo città di città
Palermo è strutturata sia statutariamente che in termini di pianificazione urbanistica in 8 municipalità di pari dignità.
Che fare?
a) conferire deleghe, poteri e risorse ai Centri di Municipalità (veri e propri simboli identitari)unitamente ad una più logica distribuzione dei servizi di controllo del territorio senza duplicazioni ma con gli stessi compiti (dove non c'è una stazione CC, ci sia la finanza o la Polizia o i Vgili Urbani con serviz H24)
b) svilupparne i centri storici (a partire da una villa, una parrocchia, un rudere) e renderli vivi e protetti daglitessi abitanti
c)Istituire la Festa delle Cittadinanze che culmini nel Festino di Santa Rosalia come momento unificante

5) Palermo città de-industrializzata
L'industria pesante non è nel futuro del mondo occidentale. Palermo è cttà creativa per definziione (citata da De Masi nel libro L'emozione e la regola a proposito del Circolo Matmatico, ritenuto uno dei gruppi più creativi al mondo ...ricordarlo quando passiamo dalle vie Guccia, Cipolla, De Santis, Bagnera che ne furono animatori)
Che fare?
a) Dichiararsipubblicamente indisponibili ad investimenti tipicamente industriali, spesso obsoleti e canalizzaione verso impianti coerenti con le risorse naturali (es.porto)Palermo, capolinea europeo delle autostrade del mare
b)Aprire parte del patrimonio immobiliare pubblico al'insediamento di software house, laboratori di innovazione e incubatori di impresa collegati con mondi vitali in tutto il mondo e incentivarne la produzione di brevetti e marchi con procedure smart
c)ripristinare circuiti virtuosi di apprendistato in antiche produzioni, si pensi alla secolare esperienza delle ceramiche d'arte tra 700 e 800, alla marineria produttiva e da diporto, alla relativa ricettività con pacchetti competitivi in tutto il mondo.

6) Palermo città delle idee
Il patrimonio culturale non è più concepito come statico e museale in alcuna parte dell'occidente.Palermo è ancora schiava di una visione ottocentesca del percorso culturale. Non è ancora passata dalla "Visita guidata" all'"esperienza".
Che fare?
a) Riorganizzare i percorsi turistici e favorire esperienze dirette (dormire o cenare in alcuni Palazzi storici in convenzione con gestori privati calmierati)
b)Creare il museo delle idee, luogo interatttivo in cui si entra in contatto video con le menti più brullanti del mondo (vedi modello del Museo del Nobel a Stoccolma...andateci)
c)Creare una commissione nazionale con sede a Palermo per la valutazione in tempi rapidissimi della validità produttiva di idee (non si capisce perchè ai siciliani le idee vengano solo quando vanno fuori...non è così, solo che quando le idee le hanno, preferiscono non bruciarle..come sto rischiando di fare io...ma questa è un'latra storia)

7) Palermo città dei servizi alla persona
Palermo non conosce ancora la profonda de natalità del centronord, ma siamo vicini e, presto dovremo affrontare le stesse sfide di Genova o Varese o Verona o Bergamo.
Che fare:
a) Utilizzare le centinaia dii unità che sovraffollano gli uffici della P.A. Regionale e Locale, (per non dire dell'inutile Provincia destinata a scomparire, visto che siamo Città Metropolitana) da riconvertire con seri programmi formativi a destinare ai serviz alla persona (anziani, madri, bambini, ammalati domiciliati, tossicodipendenti) creati presso le Municipalità (c'è il rschio, visto il numero degli addetti di diventare la prima regione d'eruropa per rapporto 1 a1 !!!)
b) Istituire l'orario H24 nelle scuole per assicurare servizi educativi oltre gli orari scolastici da gestire i convenzione con privati, monitorati da una commissione di utenti
c) aprire corsie preferenziali per tutti i bambini/ragazzi verso sport, associazionismo e volontariato, attribuendo punteggi veri , e non inutili crediti, che vadano ad incrementare il cv e siano considerati elementi di peso nelle assunzioni

8) Palermo, città della vita
Otto sono i lati di Palermo, rovesciatieli e avrete il segno dell'infinito. Gli antichi ci sapevano fare con i simboli!!!Palermo ama la vita e la celebra in ogni manifestazione, anche quando commemora i morti (pubblici e privati) e li tratta da vivi.
Che fare:
a)Dichiarare Palermo Città Internazionale per la tutela della vita di tutti gli esseri viveni persone, animali, piante ed attrarre istituzioni governative e non, offrendosi come sede
b)Portare a Palermo il Centro Internazionale di Addestramento per la lotta alla criminalità organizzata (lo sognavano Boris Giuliano e Giovanni Falcone) cui destinare il Castello Utveggio
c)Disporre la concessione di aree per l'insediamento di primari soggetti internazionali ad elevata specializzazione nei settori della ricerca sulla qualità della vita dall'inizio alla fine ,sul modello ISMETT, ma a capitale interamente privato e in convenzione

Potrei continuare ma prima che qualche "solone" dica "utopie", date un'occhiata a questo brano:
Se tutto questo è utopia, lo è esattamente come lo erano l’habeas corpus, la Magna Charta, l’abolizione della schiavitù, il suffragio universale, la fine del colonialismo e dell’apartheid, la condanna costituzionale del razzismo, le pari opportunità, un Papa polacco, un presidente nero alla Casa Bianca. Il cammino dell’utopia coincide con il progresso della civiltà.


La visita di Benedetto XVI a Palermo


Qualsiasi polemica sulla visita del Papa a Palermo è, a mio avviso, arida, strumentale e, nel migliore dei casi, banale e superficiale. In quanto alle spese sostenute che vengono da più fonti pubblicizzate con sentimenti opposti, esse attengono ad altri aspetti e andrebbero semmai confrontate con quelle sostenute da altre città italiane per un evento dello stesso genere. Preferisco in ogni caso che, nei limiti della decenza, si spenda per questo piuttosto che per ospitare rock star portatrici di messaggi di odio o di disperazione e per le quali occorre pure pagare un biglietto. Sul fatto poi che Papa Ratzinger possa non piacere nel confronto con Giovanni Paolo II, va ricordato che ne fu il principale supporto e ne è oggi l'erede naturale per impostazione dottrinale e capacità di guida della Chiesa, nella chiarezza dei valori fondamentali e irrinunciabili. Su IOR, Marcinkus e su quanti fanno i soldi scrivendo su tutto e il suo contrario non dirò, perchè con il valore di questa visita non sono pertinenti.
http://www.youtube.com/watch?v=yKDwZJxXWyM&NR=1

Presentazione

Queste sono le prime parole che scrivo sul blog che ho voluto chiamare Incoming, a sottolineare il mio interesse per la costruzione di pezzi di futuro inedito nella società, nella cultura, nella politica  e nella mia terra. Vi troveranno spazio riflessioni di attualità, visioni e suggestioni di futuri probabili, idee progettuali e prospettive possibili e..impossibili.
Credo infatti che, a differenza dell'interpretazione corrente, la parola utopia non voglia indicare qualcosa che non c'è (a-topia) quanto qualcosa che non c'è...ancora. Sono convinto che la storia dell'Umanità sia la storia di utopie realizzate, anche anni dopo essere state evocate, inizialmente sottovalutate e, talvolta, irrise.