lunedì 7 settembre 2015

Profughi: la “svolta” dell’Europa e la lezione di Voltaire




    Avremmo diverse ragioni per dimenticare l’estate che va a concludersi. E non solo per l’intenso caldo afoso che martella la Sicilia sin dai primi giorni di luglio. O per i tanti disservizi che ancora una volta hanno costretto cittadini – e turisti – a confrontarsi con una Palermo sempre più mediorientale che europea.

    Soprattutto vorremmo dimenticare un’ estate che ha registrato il picco più alto degli sbarchi di migranti con il potente carico di dolore, di disperazione, di morte, pur sovrastato da un incontenibile desiderio di vita e dalla speranza di una vita migliore.
    
      A differenza degli emigranti meridionali di inizio secolo che esultavano scorgendo all’orizzonte la Statua della Libertà, porta d’ingresso di quell’AMERICA a lungo sognata nel buio delle miniere o arando con fatica sotto il sole un’amara terra che apparteneva ad altri, i profughi del nostro tempo hanno  temuto soprattutto il momento in cui né la sponda da cui erano partiti né quella che aspiravano a raggiungere fossero in vista oltre la murata sbrecciata del barcone. Vite sospese tra l’impossibilità di tornare indietro e l’incertezza di procedere verso un destino sconosciuto e per molti, troppi, fatale.
   
    Dovranno essere molte e affastellate le notizie che, purtroppo abitualmente, seppelliscono le immagini del genocidio che si è compiuto sotto i nostri occhi. Già è bastata una nuova  folla di disperati provenienti dalle rotte balcaniche con un carico di morti inferiore ma non meno inquietante, per spostare l’attenzione dal molo di Lampedusa alla stazione di Budapest, dal porto di Pozzallo alle piazze di Monaco e di Salisburgo. 

       E’ stata sufficiente la foto – che certamente passerà alla Storia – del cadavere del piccolo Aylan  sulla spiaggia turca di Bodrum per far dimenticare mille e mille orrori simili consumatisi ormai da anni nel Mediterraneo e di cui, con un inconfessato e ben celato  moto di fastidio, viene fatta ogni giorno fedele cronaca e scrupolosa contabilità.
    
    Mentre per anni l’Europa ha finto di non vedere, liquidando con cinismo l’intera tragedia come un problema italiano o greco, ecco, all’improvviso la svolta inaspettata della Germania circa l’apertura all’asilo di profughi siriani senza limitazioni di alcun genere e il goffo arrancare di alcuni paesi europei che sembrano scoprire solo ora l’emergenza umanitaria, dopo mesi di disinteresse e di negazionismo.

    Resipiscenza di una nazione contemporaneamente vittima e carnefice della più grande tragedia del XX secolo ? Ravvedimento di una cancelleria che solo poche settimane prima aveva messo in ginocchio l’intero popolo greco ? O, piuttosto, un freddo calcolo di opportunità, davanti all’imminente crisi economica (e sociale) cinese, per incrementare la produzione e diventare leader mondiale delle esportazioni ?

    La “tempestività” della decisione tedesca avrebbe dell’incredibile se non si collocasse nel quadro economico globale, che,  sotto gli occhi di un’opinione pubblica distratta dai riti estivi e dalle cronache umanitarie,  nel volgere di pochi giorni è mutato con conseguenze che solo nei prossimi mesi constateremo in pieno.

   Non è intenzione di chi scrive sminuire l’effetto pratico della decisione tedesca né la sincera solidarietà del popolo di quella nazione che non ha mai dimenticato l’esperienza di essere profugo o la fuga dalla guerra e dallo sterminio. Tale sentimento resta autentico e fa onore alle migliaia di cittadini che stanno offrendo concreta solidarietà a chi arriva stremato da un’ odissea collettiva di immani proporzioni.

    Resta tuttavia poco comprensibile il diverso tenore di molte dichiarazioni di appena qualche mese fa quando ancora il fenomeno era percepito in Europa come lontano ed estraneo. Un tenore non dissimile da quello di alcune frange della popolazione italiana il cui animo è stato sovente esacerbato da politiche di accoglienza inadeguate, carenti e spesso “concretamente” interessate a sfruttare un’occasione di profitto senza precedenti.

    Non vi è dubbio che in Germania (tasso di disoccupazione 4% vs il 13% dell’Italia)  o in Austria non ci sarà mai il C.A.R.A.  di Mineo e  che sulla pelle dei migranti non lucreranno soggetti vicini alla criminalità o esponenti di un’economia della sussistenza pronta a cogliere ogni opportunità. 

   Assisteremo invece ad un’imponente politica di integrazione che farà poi da modello ai Paesi europei, se portatori della stessa necessità di compiacere la Germania o di  acquisire nuove leve per la produzione industriale e nuovi contribuenti con cui sostenere il costo crescente delle politiche di welfare.
    
     E che dire del premier della semidesertica Finlandia Juha Sipila pronto a donare la propria casa delle vacanze ad una famiglia di migranti ? O del miliardario egiziano Naguib Sawiris che chiede di acquistare un’isola (si badi bene greca o italiana) per ospitarvi e far prosperare, immaginiamo a proprie spese, i profughi, creando una nuova Città del Sole ?

  Corsa al protagonismo o carità pelosa ? Folgorazioni sulla via di Damasco o attenta strumentalizzazione di un sentimento internazionale  di solidarietà esploso dopo il martellamento mediatico e l’uso appropriato delle immagini più scabrose ? Colpo fatale all’avanzata di becere  destre nazionaliste e xenofobe o geniale intercettazione del mutato sentimento generale ?

   Certo, di queste considerazioni interessa poco alle migliaia di migranti che da due sere ormai possono ricominciare a sperare in futuro più degno di questo nome. Ed è giusto che sia così poiché, alla fine,  ciò che conta sono i destini individuali di persone reali che hanno un volto, un’anima, un destino da costruire.

    Rimane però, altrettanto giustamente, il dovere di interrogarsi su dinamiche globali e su disegni meno nobili e più “concreti”che spesso ci sfuggono perchè abilmente camuffati da argomentazioni ed atteggiamenti pubblicamente condivisibili.

    L’esodo globale infatti durerà per oltre metà di questo secolo e un fenomeno di tale portata non può certo sfuggire a chi determina i destini del mondo, servendosi di ogni mezzo e soprattutto facendo leva sui  sentimenti più profondi dei singoli cittadini.
     
     E’ già accaduto e continuerà ad accadere: fu così per gli accordi tra Regno d’Italia e Stati Uniti per sostituire nelle piantagioni della Louisiana gli schiavi neri affrancati dalla Guerra Civile con i “liberi” emigranti meridionali (si legga al riguardo la documentata ricostruzione di Enrico Deaglio pubblicata da Sellerio); è stato così per la nascita del movimento pacifista degli anni ‘70 rivelatosi poi sostenuto economicamente dall’ URSS in funzione anti NATO o per l’uso di un generale sentimento antimafia sfruttato da oltre venti anni  per costruire  consenso inossidabile intorno a carriere politiche ed a posizioni professionali o imprenditoriali. 

    Per tornare ai nostri giorni, ai temi della migrazione e delle conseguenti considerazioni strategiche sul piano politico-sociale,  è probabile che i governi, nazionali o sovranazionali,  di oggi e di domani, cercheranno sempre di nascondere parzialmente, dietro la retorica e il politicamente corretto,  quella verità delle cose che solo un’informazione libera e consapevole del proprio ruolo sarà in grado  di rivelare e di difendere.


“Pangloss insegnava la metafisico-teologo-cosmoscemologia. Dimostrava in maniera mirabile che non esiste effetto senza causa, e che, in questo che è il migliore dei mondi possibili, il castello del signor barone era il più bello dei castelli, e la signora baronessa la migliore delle baronesse possibili."E’ dimostrato" diceva, "che le cose non possono essere altrimenti:giacché tutto è fatto per un fine, tutto è necessariamente per il miglior fine. Notate che i nasi sono stati fatti per portare occhiali; infatti abbiamo gli occhiali. Le gambe sono visibilmente istituite per essere calzate, e noi abbiamo le brache. Le pietre sono state formate per essere tagliate e farne dei castelli; infatti monsignore ha un bellissimo castello: il massimo barone della provincia dev’essere il meglio alloggiato; e poiché i maiali sono fatti per essere mangiati, noi mangiamo maiale tutto l’anno. Perciò, quanti hanno asserito che tutto va bene hanno detto una sciocchezza: bisognava dire che tutto va per il meglio".
Candido ascoltava attentamente, e innocentemente credeva.”

(Voltaire, Candido, 1759)



Pubblicato su Sicilia Informazioni. com il 6 settembre 2015

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