martedì 25 agosto 2015

L’Islam, l’ossessione del Mahdi e il sogno di Federico II



L’attenzione mediatica internazionale sempre costretta ad inseguire la notizia del giorno, sembra avere già confinato in secondo piano la recente strage della spiaggia di Sousse, durante la quale hanno perso la vita 38 turisti, di cui 30 britannici. La bandiera nazionale esposta a mezz’asta in tutte le città del Regno Unito, ha richiamato alla memoria eventi che ebbero luogo 130 anni fa nel cuore dell’Africa, in Sudan e che molto hanno a che fare con quello che oggi chiamiamo lo “Stato Islamico”.
Nell’ultimo ventennio del XIX secolo il traballante impero ottomano comprendeva ancora l’ Egitto, di cui il Sudan era considerato un’estensione, a motivo del corso del Nilo che conferisce unità territoriale alle due regioni. Per conto di Costantinopoli, il potere era esercitato da un Chedivè (Vicerè) che risiedeva al Cairo e nominava per il sud un governatore con sede a Khartoum, di volta in volta scelto tra noti generali dell’aristocrazia coloniale inglese.
Alcuni anni prima, il mondo islamico, da sempre nell’attesa di un messia (Mahdi) che avrebbe unificato politicamente e spiritualmente la “comunità dei veri credenti” si era riconosciuto nella predicazione di Muḥammad Aḥmad, un mistico autoproclamatosi guida dell’Islam. Il Mahdi era riuscito a raccogliere un’armata di oltre quarantamila uomini ben armati dopo un paio di sconfitte sull’imbelle esercito egiziano, con cui aveva invaso il Sudan, arrestandosi nella città di Omdurman sul Nilo, in attesa di conquistare Khartoum e di proseguire la propria marcia verso l’Egitto. Il 26 febbraio del 1885 la città cadde e vi trovò morte eroica anche Gordon Pascia, un eroe del colonialismo inglese in Africa e in Asia che il primo ministro inglese Lord William Gladstone aveva imposto come governatore del Sudan al Chedivè d’Egitto, per trarsi d’impaccio dinanzi all’opinione pubblica internazionale. Pensava così di evitare di esporre ufficialmente l’Inghilterra al fianco dell’impero turco di cui si prevedeva prima o poi la divisione delle spoglie, come sarebbe accaduto puntualmente dopo la fine della prima guerra mondiale.
Il massacro di Khartoum e la fine di Gordon scossero l’Europa, Gladstone fu “costretto” ad inviare truppe regolari inglesi che riconquistarono la regione e aprirono la strada all’effettivo dominio britannico di Egitto e Sudan Sarebbe durato mezzo secolo. Il Madhi sopravvisse ancora pochi mesi, ma fece in tempo a costituire uno stato islamico fondato sulla legge coranica e sulla pratica della guerra santa contro gli infedeli. I suoi successori, detti “mahdisti”, guidati dal suo successore il califfoʿAbd Allāh al-Taʿāysh, furono sconfitti dai britannici il 24 novembre del 1898, ma conservarono un importante ruolo nei successivi sviluppi politici del paese, radunati nel partito politico Umma (Comunità islamica), attivo per tutto il XX secolo e in varie occasioni al governo del Sudan.
Ho voluto riproporre questa pagina di storia sollecitato dalla dimensione messianica dell’Islam che, per quanto di derivazione ebraica nella cui escatologia però si contempla l’avvento del figlio di Dio, attende e prepara la venuta di un secondo grande profeta e lo individua periodicamente, con le diverse modalità di volta in volta create dalla Storia. Essa rilancia l’aspirazione alla conquista dell’intero pianeta attraverso l’indizione della guerra santa, combattendo la quale i caduti conquistano il paradiso islamico e, oggi più concretamente, offrendo alle giovani generazioni una prospettiva ideale contrapposta al “declino del’Occidente”. Pur trattandosi di una prospettiva chiaramente fuori dalla Storia, tale strategie ben si presta a regolare conti interni alla comunità islamica e soprattutto alla conquista di aree strategiche ancora per decenni fonte di straordinarie risorse economiche ed energetiche.
Nonostante ciò sia ben chiaro ai vertici delle organizzazioni che si disputano la supremazia, la percezione popolare è quella di una rivincita sul mondo occidentale e cristiano di cui non sono state dimenticate le espansioni coloniali, ieri territoriali, oggi economiche e culturali.
Alle masse islamiche sempre più povere e deluse dal fugace ed ambiguo fenomeno delle primavere arabe del 2011, si propone un mondo di purezza spirituale originaria ed identitariache, pur passando attraverso azioni di una crudeltà assoluta, affascina i giovani estendendosi anche a parte di quelle generazioni di fede islamica nate e cresciute in Europa o negli Stati Uniti e diventate tragicamente il vero punto debole della difesa dal fenomeno, come è stato dimostrato dalla stragi del 2015.
Nonostante l’esistenza di ampie fasce del cosiddetto “Islam moderato” (la cui definizione appare tuttavia una contraddizione in termini con le prescrizioni coraniche estremamente chiare circa la guerra santa, la persecuzione/conversione degli infedeli, il ruolo sociale delle donne, la condanna dell’omosessualità, dell’adulterio, ecc..) l’ossessione del Mahdi si ripropone con insistenza e trova terreno fertile in un mondo contemporaneo che giustamente impedito sul piano valoriale non può certo ricorrere alla “politica delle cannoniere” né ignorare i propri doveri di accoglienza verso i profughi, pur esponendosi a rischi molto gravi, in quanto negherebbe se stesso e quei principi che proprio il 4 di luglio del 1776 anticiparono la rivoluzione illuminista dell’89.
Archiviata, almeno sino a quando sarà possibile, ogni tentazione militare che si tradurrebbe in quel Vietnam di cui tutti conosciamo l’esito e cui si aggiungerebbe la recrudescenza di atti terroristici incontrollabili posti in essere all’interno delle nostre linee, la questione appare priva di soluzioni a breve poiché esse risiederebbero nella piena dimostrazione di quanto in realtà l’evoluzione storica abbia ormai superato la visione fondamentalista e identitaria per evolvere, pur tra mille contraddizioni, verso l’integrazione che rispetta le diversità con l’unico limite invalicabile delle regole comuni, necessarie alla convivenza civile. Una globalizzazione non più minacciante ma fonte di una nuova redistribuzione di diritti e di opportunità per tutti.
Si tratterebbe di una svolta decisiva verso un ruolo cui piuttosto che le armi, possono solo attendere l’istruzione, la cultura e il dialogo ma soprattutto lo sforzo dei paesi occidentali di sottoporre a critica profonda il proprio modello di sviluppo e molti stili di vita la cui combinazione esplosiva, se protratta, alimenterà sempre l’ossessione del Mahdi che si nutre dell’ignoranza e della precarietà economica di masse sterminate diffuse capillarmente in ogni angolo del pianeta. Come un tempo fu per il marxismo-leninismo, esse coniugano nell’opzione fondamentalista più un bisogno di giustizia sociale ed economica che una fede religiosa o politica. Ma, in nome di entrambe, quelle medesime masse sono disposte a sacrificare la propria vita e quella, incolpevole, di quanti li circondano.
L’Europa in particolare, non compia il cinico gesto di Galdstone di fingere di esitare sino all’ultimo per salvare Khartoum al fine di giustificare poi l’intervento imperialista con gli inevitabili strumenti del proprio tempo. L’Unione si chieda piuttosto, se ne è capace, quanta responsabilità ha nella crescita del consenso intorno all’ISIS e se sia veramente immune da disegni egemonici che, sotto mutate spoglie e con le modalità dell’era digitale, si insinuino dietro l’immagine che vorrebbe dare di se stessa ma che, alla prova dei fatti, finora non sembra avere rappresentato un modello alternativo a fantasmi del passato che altrimenti con insistenza il mondo islamico continuerà ad evocare, con le tragiche conseguenze di una drammatica escalation che coinvolgerà tutta l’Umanità nei prossimi decenni.
In conclusione, restano alcune domande che riportano all’attualità di queste ore: e se dichiarare l’itinerario arabo normanno di Palermo, Monreale e Cefalù patrimonio di quella stessa Umanità non fosse solo il riconoscimento del passato ma un segnale per il futuro inviato a chi nel mondo islamico saprà decifrarlo? Se a questo disegno avessero lavorato da anni menti raffinatissime che operano all’ombra di grandi istituzioni mondiali, note e meno note, dove si aprono spiragli di un dialogo interculturale e interreligioso ad altissimo livello altrove impossibile ? Se la Sicilia, unico luogo al mondo dove l’incontro tra Occidente e Islam è rimasto un dato costante nel tempo, fosse un laboratorio in cui ricomporre la principale frattura culturale creatasi da oltre mille e cinquecento anni ? Supposizioni, suggestioni o, forse, la realizzazione del sogno universalistico e visionario di Federico II apparso ai più per secoli indecifrabile e, a tratti, incomprensibile?


Pubblicato su Sicilia Informazioni.com il 5 luglio 2015

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