sabato 19 febbraio 2011

L'era della liminalità: i popoli in movimento oltrepassano il confine della marginalità

Il Cairo, pochi giorni fa

Per una cronologia della scomposizione

1989
Cade il Muro di Berlino: il mondo non sarà più lo stesso, inizia la globalizzazione
2001 
Attentato terroristico, crollano le Twin Towers: il mondo sperimenta la paura globale
2008 
Crisi economica mondiale, crolla l'economia fondata sulla finanza: la paura diventa povertà
2011 
Medio Oriente, crollano i regimi autoritari: la rivendicazione del diritto universale ad avere un futuro diventa globale



   
Dopo appena pochi mesi dalla pubblicazione su questo blog della riflessione su "La realtà liminale", i fatti del Medio Oriente stanno disegnando una nuova geo-politica del diritto al futuro, marcando il superamento di uno degli ultimi limenes rimasti: la fatalistica rassegnazione alla marginalità, da sempre graduata con le espressioni "primo" "secondo" "terzo"......mondo.
Sembra sorgere, con l'inevitabile violenza che accompagna tragicamente i grandi cambiamenti epocali e le palingenesi sociali,  l'inedita progressiva consapevolezza di appartenere tutti allo stesso mondo, con pari responsabilità e opportunità. (LS)


    La "profezia " della Scuola di Manchester

   Gli esponenti della scuola di Manchester si fecero assertori di un cambiamento radicale per quanto riguarda le scienze antropologiche, proponendo un paradigma che li allontanerà progressivamente dalle vecchie concezioni relative al funzionamento delle società, viste ancora come sistemi omeostatici ed in perenne equilibrio.

   Il tema del cambiamento culturale e del conflitto accomunerà un'intera schiera di giovani antropologi, stimolati dalla situazione storica in cui risiedevano molti paesi africani, vittime, in quegli anni, di una politica coloniale destrutturante e conflittuale.

   Alcuni allievi di Malinowski avevano già puntato il loro interesse verso i problemi scaturiti dal contatto tra culture diverse,denunciando, in alcuni casi, il pericolo che correvano le società tradizionali al cospetto dell'aggressività politico-militare dei paesi europei. Lo stesso Malinowski, dopo un periodo di studio in Africa alla fine degli anni '30, proporrà una sua teoria del cambiamento, tentando di far coesistere il tema del mutamento con quello funzionalista. Rispetto alle piccole tribù isolate che gli antropologi avevano inizialmente scelto come oggetto privilegiato di studio, le società africane,coinvolte in rapidi processi di acculturazione forzata, potevano sicuramente stimolare un tipo di visione dinamica dei fenomeni, proponendo una particolare attenzione verso la dimensione storica dei fatti.
  
   Max Gluckman (1911-1975), antropologo sudafricano, può essere considerato il fondatore della scuola di Manchester. Compì i suoi studi in Rodhesia e nel Sudafrica, dove tentò di analizzare le realtà sociali al fine di rintracciare importanti conferme alle sue teorie. Come Radcliffe Brown, anche Gluckman ricerca, inizialmente, i fattori in grado di garantire coesione ed equilibrio all'interno delle realtà sociali. Il distacco concettuale dal maestro avverrà proprio riguardo il tema dell'organicità delle società; al contrario di Radcliffe Brown, infatti, l'equilibrio non era da rintracciare nell'interdipendenza dei fenomeni sociali, quanto nel loro rapporto conflittuale, aprendo la porta, cosi facendo, all'analisi ed allo studio del mutamento culturale. Per Gluckman il funzionamento di una società dipendeva da due forze opposte, funzionanti all'interno di un sistema in grado di auto-regolarsi, attraverso continui fenomeni di rotture e riaggiustamenti. Ciò che caratterizzava una società erano dunque delle ricorrenti forme di instabilità, intramezzate da altrettanti periodi di equilibrio, scaturiti dal riassestamento delle contraddizioni venutesi a creare.

   L'idea di aggregato funzionante come un organismo vivente, al cui interno i vari fenomeni sociali funzionavano come organi predisposti al funzionamento del tutto, tendeva a lasciare spazio ad una nuova idea relativa ai gruppi umani, grazie all'utilizzo di concetti nuovi per l'antropologia, quali conflitto, tensione, contraddizione, destrutturazione, cambiamento. L'attenzione principale di Gluckman rimase tuttavia ancora rivolta verso i meccanismi in grado di spiegare l'equilibrio e la conservazione di un sistema sociale. Gli stessi livelli di opposizione da lui enunciati (conflitto, lotta,contraddizione, competizione), non facevano che riportare, una volta superati, la situazione al livello iniziale.

   Solamente con il termine "contraddizione", Gluckman intese la possibilità che una tensione interna potesse portare ad un cambiamento radicale della struttura sociale, mentre teorizzò per gli altri dei semplici momenti conflittuali che, una volta assorbiti da specifici meccanismi regolatori, sarebbero stati eliminati per far posto ad una nuova situazione di equilibrio. Tra i principali strumenti sociali utilizzati dai gruppi umani per sedare le tensioni interne, vi era la sfera religiosa e magica. Il rituale, in particolare, svolgeva la funzione di convoglio di energie potenzialmente destrutturanti; attraverso la ritualizzazione delle lotte, per loro natura sottoposte ad un rigido controllo, si finiva per scaricare i propri impeti di ribellione, riconfermando, al termine di quella che potremmo chiamare una "metafora sociale", le regole vigenti. Il potere di un capo, ad esempio, che poteva suscitare sentimenti di invidia da parte di alcuni membri del gruppo, finiva per essere rinsaldato proprio nel momento in cui lo si inseriva all'interno di un rituale, attraverso il suo utilizzo come sistema di convoglio di pericolose energie in grado di minacciare l'ordine esistente.

   Gli allievi di Gluckman, tra i quali ricorderemo qui Victor Turner (1920-1983), diressero la loro attenzione su quello che potremmo definire come il punto principale della scuola di Manchester, ossia quell'insieme di situazioni sociali che potevano creare situazioni tali da portare ad un cambiamento radicale della struttura esistente. Turner, in particolare, studiò i conflitti che caratterizzavano le società, proponendo una visione essenzialmente dinamica dei fatti, ed allontanandosi sempre più dalle concezioni struttural-funzionaliste di Radcliffe Brown. L'interesse di Turner fu quello di decifrare il modo in cui gli individui di un gruppo erano in grado di manipolare gli apparati simbolici e normativi di una società, al fine di perseguire un vantaggio personale.
  
   Il conflitto era da considerarsi endemico, cioè intrinsecamente esistente all'interno di una società, anche se esistevano precisi meccanismi che riuscivano ad utilizzare queste tensioni ai fini dell'unità del gruppo. La principale novità di Turner rispetto al suo maestro, sarà quella di porre in primo piano gli individui in quanto tali, i loro comportamenti, le loro strategie interne, e i modi in cui era possibile manipolare il capitale simbolico di una società, cosi da provocare uno scarto tra norma e comportamento. Soprattutto quest'ultimo punto sarà ripreso da studiosi dediti al tema del cambiamento socio-culturale, tra i quali possiamo ricordare la figura di Edmund Leach (1910-1989) e Fredrik Barth (1928-).

   L’analisi struttural-funzionalista infatti puntava ad individuare le norme e le istituzioni cristallizzate per ricostruire l’assetto strutturale di una data società; Gluckman e i suoi allievi cercavano di individuare la componente dinamica delle relazioni sociali stesse, conseguentemente all’insorgere di principi e valori antagonistici ed oppositivi atti a rimodellare l’intera struttura sociale. In particolare Victor Turner si interessò agli aspetti processuali del divenire analizzando la vita sociale in un villaggio degli Ndembu, una popolazione della Rhodesia del Nord, oggi Zambia. Egli comunque non circoscrisse le sue analisi teoriche alle popolazioni native dei paesi in via di sviluppo, ma analizzò a fondo anche le dinamiche oppositive e processuali delle società complesse occidentali, attuando una comparazione fra scenari culturali diversi.

   Il punto di partenza della sua analisi teorica è il concetto di social drama (dramma sociale).
"Un dramma sociale si manifesta innanzitutto come rottura di una norma, come infrazione di una regola della morale, della legge, del costume o dell’etichetta in qualche circostanza pubblica.

  Questa rottura può essere deliberatamente, addirittura calcolatamente premeditata da una persona o da una fazione che vuole mettere in questione o sfidare l’autorità costituita […] o può emergere da uno sfondo di sentimenti appassionati. Una volta comparsa, può difficilmente essere cancellata. In ogni caso, essa produce una crisi crescente, una frattura o una svolta importante nelle relazioni fra i membri di un campo sociale, in cui la pace apparente si tramuta in aperto conflitto e gli antagonismi latenti si fanno visibili. Si prende partito, si formano fazioni, e a meno che il conflitto non possa essere rapidamente confinato in una zona limitata dell’interazione sociale, la rottura ha la tendenza a espandersi e a diffondersi fino a coincidere con qualche divisione fondamentale nel più vasto insieme delle relazioni sociali rilevanti, cui appartengono le fazioni in conflitto."

   Il dramma sociale ha quindi luogo quando nell’ambito della vita quotidiana di un villaggio si crea una frattura nelle tradizionali norme del vivere oppure quando in una società complessa si genera un punto di svolta rispetto alla consolidata struttura socioculturale e ci si adopera per far affiorare l’ipotetica antistruttura. I drammi sociali rivelano "strati sottocutanei" della struttura sociale e fanno affiorare allo scoperto elementi oppositivi della società stessa, facendo pulsare le vene reticolari che strutturano le relazioni interpersonali di una determinata società, fino a farle scoppiare.

    Secondo Turner, infatti, i drammi sociali hanno la caratteristica di attivare opposizioni all’interno di gruppi, classi sociali, etnie, categorie sociali, ruoli e status cristallizzati, trasformando queste opposizioni in conflitti che, per essere risolti, necessitano una rivisitazione critica di particolari aspetti dell’assetto socioculturale fino ad allora legittimato.
  
    Questa riflessione critica avviene solitamente nell’ambito di fasi di passaggio da una situazione culturale istituzionalizzata a nuove aggregazioni spontanee, che possono originarsi nell’atto di tracciare i solchi del nuovo e del non familiare all’interno del territorio della liminarità socioculturale.

   Il concetto di limen (che significa "soglia", "margine" in latino) è traslato da Victor Turner dal lavoro di Arnold Van Gennep, che nel 1909 pubblicò in Francia il libro Les rites de passage (trad. italiana: I riti di passaggio).

    Per Van Gennep i Riti di passaggio sono quelli che accompagnano il mutamento dello status sociale di un individuo o di un gruppo di individui e riguardano le "fasi critiche" della vita umana. Per esempio, Van Gennep analizzò i rituali d’iniziazione che riguardano i momenti di passaggio da uno status sociale ad un altro (come nel caso dell’entrata nella vita adulta da parte di un giovane di un clan) e che di solito comportano lunghi periodi di isolamento e di allontanamento dell’iniziando dalla vita sociale normativizzata, confinandolo in una zona liminare (per esempio in alcune tribù australiane, melanesiane e africane un ragazzo sottoposto all’iniziazione è costretto a vivere per molto tempo nei boschi lontano dalle normali interazioni sociali a cui è abituato). Dopo la separazione dalla routine della vita quotidiana, in seguito alla rottura di particolari norme legittimate dalla comunità, i novizi attraversano una fase intermedia, di transizione, che Van Gennep chiama appunto "margine" o "limen", una zona di ambiguità, una sorta di limbo socioculturale, in cui si gioca con i simboli culturali e li si ricompone secondo modalità inedite.

   "La liminalità può comportare una complessa sequenza di episodi nello spazio-tempo sacro, e può comportare anche eventi sovversivi e ludici (o giocosi). I fattori culturali vengono isolati, per quanto è possibile fare con simboli plurivoci […] come alberi, immagini, dipinti, figure di danza, ecc., ciascuno dei quali può assumere non uno, ma diversi significati. Poi questi fattori o elementi culturali possono essere ricombinati in molti modi, spesso grotteschi perché disposti secondo combinazioni possibili o immaginarie anziché quelle dettate dall’esperienza: così un travestimento da mostro può unire tratti umani, animali e vegetali in un modo ‘innaturale’, mentre gli stessi tratti possono essere combinati in modo diverso, ma sempre ‘innaturalmente’ in un dipinto o descritti in un racconto. In altri termini nella liminalità la gente ‘gioca’ con gli elementi della sfera familiare e li rende non familiari. La novità nasce da combinazioni senza precedenti di elementi familiari." Nel caso dei riti di iniziazione, nella fase di transizione in cui vive l’iniziando si mettono in gioco una serie di simboli rituali e si cerca di praticare un’ibridazione e uno sconvolgimento degli attributi sociali con cui l’individuo era precedentemente connotato: gli iniziandi sono reputati invisibili, vengono privati del nome e dei vestiti e imbrattati di fango, vengono considerati simultaneamente di sesso maschile e femminile,oppure sia vivi che morti. Nella fase di transizione gli iniziandi sono spinti verso l’invisibilità strutturale, l’anonimato e l’uniformità, al fine di passare ad un nuovo status.

   Il liminale quindi rappresenta un contesto di ibridazione sociale e culturale, zona di confine in cui potenzialmente potrebbero sorgere nuovi modelli, paradigmi, in cui la creatività culturale inscena la sua danza al congiuntivo. Turner sostiene che "l’essenza della liminalità consista nella scomposizione della cultura nei suoi fattori costitutivi e nella ricomposizione libera o ‘ludica’ dei medesimi in ogni e qualsiasi configurazione possibile, per quanto bizzarra." In questo settore culturale libero e sperimentale, possono essere introdotti nuovi elementi socioculturali e nuove regole combinatorie.




Testi di riferimento

L.M.Sanlorenzo, La realtà liminale, Incoming, 2010
S. Allovio, Culture in transito, Franco Angeli, Milano, 2002
R. Schechner, Magnitudini della performance, Roma, Bulzoni, 1999
V.W. Turner, Antropologia della performance, Il Mulino, Bologna, 1993
Arnold van Gennep. I riti di passaggio Torino, Bollati Boringhieri, 2002


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