domenica 9 novembre 2014

Venticinque anni dopo il muro: il mondo è migliore ?


Venticinque anni fa cadeva il Muro di Berlino. Si concludeva simbolicamente quel “ secolo breve” la cui estensione temporale, secondo lo storico britannico Eric J. Hobsbawm, può essere compresa tra il 1914 e il 1991. Il parlamento italiano, con la legge n. 61 del 15 aprile 2005, ha dichiarato il 9 novembre “Giorno della libertà” una data simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo.
Ho dedicato lo scorso anno un altro genere di riflessioni a questa ricorrenza. Preferisco oggi interrogarmi sui cambiamenti che , come i cerchi concentrici generati da un sasso gettato in uno stagno, nel volgere di cinque lustri quel crollo provocò nel mondo di allora, refluendo significativamente sul nostro presente.
Gli effetti di quell’evento epocale sono ancora oggi all’origine della maggior parte dei temi che agitano il nostro Paese e che sottolineano con evidenza quanto poco si sia saputo o voluto apprendere dalla portata simbolica che esso conteneva. Ne ricorderò tre, a mio avviso tra i più importanti ed attuali.
La caduta del Muro determinò un forte ridimensionamento del il ruolo strategico che sino a quel momento l’Italia aveva avuto nel Patto Atlantico in quanto frontiera immediata con “l’impero del male”, come  Ronald Reagan, in un teatrale discorso pronunciato l’8 marzo 1983, aveva definito l’Unione Sovietica
Da quel momento in Italia si cominciarono a “regolare i conti” con la parte della Democrazia Cristiana da sempre meno docile verso gli USA, vicina alla causa palestinese allora interpretata dall’ OLP di Arafat e favorevole al dialogo con i ricchi paesi petroliferi del nord africa, avviato negli anni ‘50 dall’ ex partigiano Enrico Mattei, inviso gli oligopolisti USA del settore, meglio noti come le Sette Sorelle; è opinione comune che a ciò possa farsi risalire la causa del misterioso incidente aereo in cui, provenendo dall’aeroporto di Catania, perse la vita nel 1962. Si proseguì con Bettino Craxi che da Presidente del Consiglio nel 1983 aveva avuto, tra l’altro, l’arroganza di pretendere che il mediatore dei terroristi responsabili del sequestro dell’Achille Lauro, quell’ Abu Abbas catturato e detenuto nella Base di Sigonella e successivamente fuggito, fosse processato in Italia e non negli USA. In pochi anni, dopo l’89, l’intera Prima Repubblica fu inquisita calpestando con il “consenso mediatico” anche le garanzie costituzionali, ricorrendo ad un’accusa infamante per un reato che era stato sino ad allora sotto gli occhi di tutti e da tutti tacitamente accettato. Era nata Mani Pulite con i suoi protagonisti palesi ed occulti e, mentre sorgevano dal nulla magistrati e opinion makers sino ad allora sconosciuti alle cronache, scomparivano dall’oggi al domani due settori fondamentali dell’economia, tradizionalmente italiani e fortemente concorrenziali sul piano internazionale: l’industria chimica e quella petrolifera.
Privato definitivamente – in modo ben più radicale rispetto allo strappo da Mosca già consumato da Berlinguer con l’eurocomunismo negli anni ’70- della propria matrice ideologica, il PCI da lì a poco avrebbe cessato di esistere, iniziando la lunga marcia durante la quale depurarsi di ogni imbarazzate eredità, attraverso le molteplici decantazioni del PDS, dei DS e le molte scissioni interne. Dopo la clamorosa sconfitta del 94,  i cosiddetti miglioristi, proprio a partire da Mani Pulite che aveva risparmiato i vertici di Botteghe Oscure, ne avrebbero guidato il percorso verso un Partito Democratico di chiara ispirazione americana, approdando con una nuova classe dirigente alla social-democrazia e isolando l’ala più estrema della sinistra, sino a ridurne ai minimi termini il consenso e ad escluderla dal Parlamento.
Alla luce dei nuovi equilibri mondiali e della momentanea ridotta rilevanza strategica dell’Italia, venne rinegoziato quel patto che , attraverso Cosa Nostra americana, nel 1943 aveva di fatto consegnato la Sicilia alla mafia in funzione di barriera anticomunista, ora non più necessaria. In tale riposizionamento la mafia isolana, nel frattempo egemonizzata dai Corleonesi di Totò Riina, diventava ora un micidiale braccio armato da utilizzare per tutte le occasioni in cui sarebbe servita come comodo paravento per depistare ogni tentativo di cercare altrove i ben più importanti costruttori di un nuovo ordine mondiale impegnati nella travagliata nascita della moneta unica già decisa dal Consiglio Europeo nel 1988. Soppressi fisicamente o politicamente gli antichi riferimento politici in Sicilia si gettavano le fondamenta per il sorgere di una nuova classe dirigente, facilmente ricattabile e cui era stata promessa l’impunità, abilmente nascosta dalla bandiera della nuova antimafia e che di fatto non disturbasse l’assestamento di nuovi assetti geopolitici europei e l’agibilità delle basi militari per controllare il Mediterraneo. E così è stato e sembra continuerà ad essere attraverso lo stretto controllo ormai imposto a Rosario Crocetta come salvacondotto personale e politico che ne sederà in modo sempre più evidente gli iniziali ardori “rivoluzionari”.
Collegare i tre mutamenti, necessariamente descritti in poche righe, con lo stato attuale della realtà italiana non è facile. Tuttavia sono possibili alcune considerazioni.
Durante quella transizione, si verificarono alcuni eventi imprevisti. Il primo fu certamente la “discesa in campo” di Silvio Berlusconi che, per quanto prioritariamente interessato a salvare le proprie azienda dall’avanzata della “gioiosa macchina da guerra”, di fatto raccoglieva l’eredità di Craxi in funzione anti comunista, ostacolando la metamorfosi di quella parte politica e diventando l’ancora di salvezza per i naufraghi della DC e del PSI, in Sicilia connotati ancora in buona parte da collegamenti con il milieu mafioso. Per venti anni egli è stato l’ostacolo da abbatter, non solo, come si è voluto dare in pasto ai più, per l’indubbio scarso profilo umano e morale e nemmeno per l’ampia gamma dei reati finanziari sicuramente ascrivibili alla sua condotta di imprenditore. A ben più illustri dinastie industriali protagoniste del salotto buono di Mediobanca, che sempre avversò l’Uomo di Arcore, era stato ed è ancora oggi perdonato molto ma molto di più.
Come in qualche misura ha ricostruito Alan Friedman, Berlusconi è stato il più ingombrante ostacolo per il cambiamento dei veri equilibri politico finanziari in Italia e in Europa e ne ha rallentato la definitiva transizione, pianificata decenni fa, attraverso un nuovo accordo atlantico, in vista del contenimento della nuova inarrestabile minaccia portata all’Occidente da parte del mondo arabo, a partire dalla caduta dei “poliziotti locali” largamente finanziati e armati per mantenere l’ordine nell’area (lo Scià di Persia sino all’avvento dell’Ayatollah Khomeini nel 1979 e Saddam Hussein, sino alla guerra del Golfo del 1991)
Sul ormai ex cavaliere si concentrò il più potente fuoco di sbarramento che mai più si registrerà nel nostro Paese e che è cessato nello stesso momento in cui quell’originario progetto ha potuto finalmente trovare il proprio inizio e consolidare le proprie posizioni. Oggi Berlusconi non fa più paura e potrà essere lasciato invecchiare in pace purchè garantisca che nessun altro abile quanto lui a captare il consenso possa prenderne il posto in quell’ irripetibile epifenomeno politico che ancora oggi è Forza Italia.
Il secondo imprevisto è stato rappresentato dalla straordinaria capacità di Vladimir Putin di restaurare il potere della Federazione Russa in grado di contrastare attraverso il ricatto energetico l’intera Unione Europea e di attrarre nella propria orbita quei paesi dell’ex URSS che, viceversa, prima o poi sarebbero stati inglobati nell’Unione. Tranne che l’ondata islamica non crei attraverso il braccio ceceno pericolose brecce nel suo sterminato potere, costringendolo a nuove necessarie alleanze con il mondo occidentale, Putin sarà a lungo una spina nel fianco dell’Unione ed eserciterà ancora per molti anni il proprio carisma, più prosaicamente sostenuto dagli oligarchi di cui, prima ancora che del popolo russo, egli è il leader indiscusso.
L’ultimo e più grave imprevisto sulla scena mondiale è stato rappresentato nel 2008 dall’ascesa di Barak Obama cui ormai negli USA si addebita quasi tutto, dalla crisi finanziaria ai fallimenti in politica estera. Salutato come l’Uomo del secolo ed immediatamente insignito del Premio Nobel per la Pace nel 2009, il primo presidente di colore non è riuscito ad intaccare in modo significativo l’anima profonda di un paese che resiste ancora fortemente a sostituire con una prospettiva mondiale più responsabile la propria atavica autoreferenzialità. Tra due anni probabilmente non torneranno alla Casa Bianca né i Bush né i Reagan, ma appare difficile immaginare a breve una nuova stagione di diritti umani e civili che riservi agli USA un ruolo di guida morale mondiale cui guardare, mentre appare più probabile una rinnovata leadership militare che troverà ogni facile giustificazione – oltre che per il largo consenso dell’industria americana che sogna un primato attualmente perduto – nel crescente pericolo islamico, oggi considerato una minaccia addirittura maggiore di quella recata dai totalitarismi del XX secolo.
Dopo venticinque anni dalla caduta del Muro di Berlino il mondo non sembra migliore e nuovi muri si alzano ovunque tra quell’ Umanità soffrente che nonostante il martellante e rivoluzionario messaggio di pace e di cambiamento di un Papa che nessuno aveva previsto, sembra non aver ancora compreso di appartenere ad un’unica comunità e continua a sprofondare nella palude del proprio egoismo.
Intanto, al posto delle note dello Stradivari Duport di Rostropovichè solo il dolore del mondo che risuona inutilmente nel silenzio dell’Universo deserto.

Articolo pubblicato su Sicilia Informazioni.com il 9 novembre 2014.

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