mercoledì 26 novembre 2014

JFK e Matteo Renzi: oltre mezzo secolo dopo, le analogie possibili



A differenza dello scorso anno, 50^ dall’assassinio di Dallas, poco risalto sembra aver avuto la ricorrenza di uno dei fatti che maggiormente hanno scosso il XX secolo.
Nell’articolo pubblicato su Sicilia Informazioni nel 2013 http://www.siciliainformazioni.com/62018/dallas-1963-in-morte-di-un-uomo-piu-grande-del-suo-tempo   e cui rimando l’attenzione del lettore, 
ho avuto modo di ricostruire la vicenda personale e politica di un protagonista assoluto del cambiamento e alla cui visione del mondo si sono ispirati milioni di giovani, determinandone le successive scelte professionali e politiche.
Trovo opportuno quest’anno individuare alcune possibili analogie tra JFK e Matteo Renzi senza indulgere a paragoni eccessivi e, al tempo stesso, non trascurando di riflettere su alcuni tratti comuni di personalità e sulle molte analogie del messaggio politico.
Le prime analogie riguardano l’età, l’identità cattolica e la conseguente ispirazione alla Dottrina Sociale, il franco e leale contrasto alla visione marxista della vita, della società, dello Stato, dell’economia e della giustizia. Non sono di minore importanza la disinvoltura della comunicazione, il gusto della sfida all’avversario, la consapevolezza di essere una risorsa indispensabile, il piacere del rischio nell’opporsi agli interessi di corporazioni e di lobby che tentano sempre di “limitare il danno” derivante da svolte che pur sanno bene essere ormai inevitabili.
Molti giovani leaders dagli anni 70 in poi hanno cercato di ispirarsi a JFK. In Italia nessuno di essi ci è riuscito e prima o poi è tornato nel gregge dei conformisti o ha dovuto rassegnarsi ad essere “delfino a vita” di questo o di quel politico che ne ha come risucchiato le energie vitali. Si pensi a Fini dopo Fiuggi, a Casini dopo la fine della DC, ai tanti giovani cresciuti nella transizione dal PCI/DC al PD tra l’89 e il 2013 come Veltroni, Orlando, Franceschini e Letta o al primissimo Rutelli, tra i radicali. Oggi scrivono memorie e accettano con difficoltà l’opportunità del ritiro.
Una significativa analogia tra Kennedy e Renzi può essere rintracciate nella politica anti segregazionista che per il primo si sostanziò nei confronti dei neri americani e per il secondo si esprime verso il popolo dei giovani e spesso iperqualificati precari, assolutamente ignorati del sindacalismo tradizionale e portatori di nuovi valori di partecipazione, di rivendicazione del merito sull’anzianità, dell’iniziativa sul conformismo, della non appartenenza sull’ adesione fideistica e passiva di natura ideologica. 

Pur in contesti e in epoche profondamente diverse, entrambi hanno guadagnato presto la fiducia dei cosiddetti poteri forti da sempre attenti al fatto che in certe fasi occorrano leaders veramente nuovi, o almeno come tali percepibili dal corpo sociale, per gestire cambiamenti di assetti politici, finanziari, economici e sociali attraverso processi razionalmente individuati che non scuotano le fondamenta delle istituzioni e azzerino invece la minaccia dell’ antipolitica e dell’anarchia, pur scontando un altissimo tasso di astensionismo che, degno di rispetto, non ha però rilevanza nel concetto di democrazia rappresentativa dove, comunque, la maggioranza, anche di pochi purchè legittimamente eletta, governa. Un fenomeno che sempre di più sembra avvicinare USA, dove esiste da decenni e UE dove ha iniziato a manifestarsi già da alcuni anni.


Da ultimo, va rilevata la dimensione internazionale che – certamente più nel caso di un presidente americano – conferisce visibilità a chi la esercita ma che nella sostanziale inazione dell’Unione Europea, l’ex sindaco di Firenze, comunque si pensi, ha portato a Bruxelles e a Strasburgo e all’attenzione dei vertici della Troika (BCE, FMI, Unione) allontanando il destino della Grecia e ottenendo un inedito rispetto per l’Italia e per il partito di maggioranza, oggi asse portante della proposta progressista e democratica al Parlamento Europeo. 
Il “ciclone” Kennedy fu l’inizio del tramonto di un “America” WASP (bianca, anglosassone e protestante) un po’ bacchettona, rigidamente conformista, visceralmente anticomunista ed abituata a considerare il resto del Pianeta come un feudo assegnato da quel Dio onniveggente il cui occhio ancora oggi campeggia sulla banconota da un dollaro. Ciò non tardò a procurare a JFK pericolosi nemici tra quanti – eredi irriducibili di quel maccartismo che aveva quasi azzerato la cultura statunitense – criticavano il suo atteggiamento di ricerca di un dialogo, pur prudente e cauto, verso l’Unione Sovietica ed i Paesi non allineati. 
Edgar Hoover, il potente fondatore dell’ FBI, nutriva per il giovane presidente una profonda avversione che non nascondeva e in più occasioni mirò a screditarne la reputazione.
L’instancabile Matteo Renzi, veloce di pensiero e di parola, sembra avviato a tracciare definitivamente tra il post comunismo – stagione infinita caratterizzata dalle mille ambiguità e dalla permanenza degli stessi leaders di sempre – il pensiero progressista senza ulteriori aggettivi o “trattini”, superando le categorie politiche del XX secolo e pretendendo di essere giudicato solo sui risultati conseguiti in tale direzione di marcia. Anche in questo caso non stanno mancando e non mancheranno nemici irriducibili che cercheranno in ogni modo di ostacolarlo mettendogli contro la demagogia e il populismo come alcuni si apprestano a fare con il prossimo, incomprensibile, sciopero generale. Un fenomeno sociale che sembra simile ad uno spettro che si sporga da un sepolcro, parlando ai posteri in una lingua morta. 
E se un possibile Hoover è individuabile anche in Italia, magari per interposta persona, potrebbe anche trovarsi davanti a fulminanti battute che avrebbero a che fare, stavolta, con i baffi. In conclusione, mentre sembra tramontata la breve stella di Barack Obama che neanche nel frettoloso conferimento del premio Nobel è riuscita ad oscurare quella di JFK, il modello Renzi in Italia e soprattutto in Europa sembra rinnovare l’epifania di una leadership dalle caratteristiche ripensate che periodicamente il mondo impone a se stesso per liberare nuove energie, inedite visioni e più adeguate ricapitolazioni del pensiero collettivo. 
La mia generazione si è sempre chiesta cosa sarebbe diventato il mondo senza la drammatica interruzione di quel pomeriggio in Texas ed è consapevole che, per esempio, il conflitto in Vietnam sarebbe stato evitato, come si era fermata sull’orlo della prima guerra atomica la crisi dei missili a Cuba. 
Forse a Gerusalemme il cristiano Kennedy avrebbe gridato “io sono un palestinese”
Sul piano sociale, probabilmente oggi non avremmo la crisi di Ferguson che rischia di dilagare in larga parte degli stati americani più toccati dall’ assenza di una reale integrazione razziale.
Nel caso di Renzi, abbiamo la possibilità di ottenere una risposta a quegli interrogativi, se solo siamo disposti ad aprire la mente verso una definitiva confluenza della piccola Italia di periferia in un’ “Europa delle persone e non dei tecnocrati” richiamata oggi da Papa Francesco e finalmente all’altezza del sogno di coloro che, poco più che ventenni, la concepirono in esilio a Ventotene, quando ancora la guerra dilaniava le popolazioni del Vecchio Continente. In questa prospettiva l’analogia tra JFK e Matteo Renzi potrebbe non essere più solo una riflessione dovuta nell’anniversario di Dallas ma l’ennesimo passo avanti nella consapevolezza di imporre definitivamente il silenzio a quel fucile che, anche senza proiettili d’acciaio, è sempre pronto a tentare di bloccare il futuro.

La linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale.(Rossi, Spinelli, Colorni,Manifesto per un’Europa Libera e UnitaVentotene 1941).

Articolo pubblicato su Sicilia Informazioni il 26 novembre 2014

Nessun commento:

Posta un commento