La maggior parte delle immagini che
scorrono in queste ore per ricordare il centesimo anniversario della Grande
Guerra mostrano paesaggi per lo più alpini, le trincee del Carso, la sconfitta
sull’Isonzo e la resistenza vittoriosa sul Piave.
Per la localizzazione in prevalenza
settentrionale del fronte, poco si conosce di episodi verificatisi in altre
zone d’Italia che tuttavia non mancarono di provocare lutti e distruzioni.
Dalle pieghe della storia di quel
conflitto emerge un fatto accaduto proprio a Palermo e che coinvolse la Chimica
Arenella, quell’ammasso oggi di rovine cui nessuno finora è riuscito a
restituire un futuro, nonostante l’invidiabile posizione sul mare e l’evidente
destinazione turistico alberghiera..
La
fabbrica, originariamente prevista a Messina dalla società tedesca Goldenberg Chimica, sorse
nel 1910 in contrada Arenella, poco oltre la Tonnara Florio, prospiciente il
mare, per sfruttare l’approdo diretto per le forniture, ma anche per gli
scarichi industriali (sic !)
Nel 1913 fu avviata la produzione
con personale tedesco e con sovvenzioni del governo italiano. All’inizio si
trattò di un insuccesso, anche per la cronica carenza d’acqua dolce, ma già
verso l’aprile del ’14 la situazione andava migliorando e la fabbrica incassava
forti attivi grazie allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, soprattutto per
la produzione dell’acido citrico usato come disinfettante negli ospedali e in
quanto fra i massimi produttori mondiali di acido solforico, composto
indispensabile per gli accumulatori ma anche per i gas tossici che proprio i
tedeschi usarono per la prima volta in Belgio, a Ypres, nel luglio del 1917.
L’entrata
in guerra dell’Italia contro gli imperi centrali, oltre al cambio degli addetti
tedeschi alla produzione, determinò anche “l’opportunità” della cessione delle quote degli azionisti
tedeschi, con la mediazione della Banca Commerciale, a prestanome italiani, fra
cui Carlo Sarauw e Giulio Lecerf, che diverrà il direttore della fabbrica, per
evitare così l’amministrazione controllata da parte del governo.
Ma una campagna stampa, orchestrata dal Giornale di Sicilia e
manovrata dal parlamentare social riformista Aurelio Drago, accusava i vertici
aziendali, e soprattutto lo scaltro direttore Lecerf, di “triangolare” la
produzione in Germania –
ricordiamo che si trattava di un paese in conflitto con l’Italia dall’agosto
1916 – attraverso alcuni paesi neutrali (Svizzera e Norvegia, anzitutto).
La fabbrica, a detta di alcuni, era
diventata addirittura una centrale di spionaggio!
Probabilmente la triangolazione avveniva veramente e questo
traffico risultava anche nei rapporti del ministero degli Interni. Sembra
infatti che i proprietari tedeschi della chimica Arenella fossero riusciti ad
ottenere dal loro governo che gli impianti venissero risparmiati – ciò a conferma
l’effettiva triangolazione dei prodotti – e un ordine in tal senso era stato
diramato alla marina tedesca.
Eppure accadde qualcosa su cui ancora oggi aleggia un mistero
degno delle più intriganti spy stories. I fatti li
ricordano tutti gli abitanti della borgata, anche se alcuni particolari
risultano controversi e furono raccontati
da Rosario La Duca che, per la prima volta, ne parlò in un articolo inserito
nella rubrica del Giornale di Sicilia: “La città perduta” pubblicata 26 gennaio
1972 dal titolo: Il pescatore che salvò l’Arenella. Successivamente, si occupò
del caso
Pietro Zambito che ne raccontò nel 2013 in La Storia di una fabbrica chimica a
Palermo.
Ecco il ricordo del testimone oculare Salvatore Parisi che quel giorno in cui si svolsero gli
avvenimenti era poco più che un
adolescente.
Il 31 gennaio del 1918 era una giornata
piovigginosa ed una sottile foschia limitava la visibilità lungo la costa.
Verso le quattro del pomeriggio, molte delle barche della borgata si trovavano
in mare a pesca di sardine. Il tempo non accennava a migliorare, sicché i
pescatori, issate le vele, decisero di rientrare a terra. Fu proprio in quel
momento che, improvvisamente, a circa mezzo miglio dalla costa e proprio di
fronte alla Fabbrica Chimica dell’Arenella, emerse un sottomarino tedesco.
Subito due uomini, aperto il boccaporto,
issarono anche loro una vela sul periscopio in modo da mimetizzare il loro
sottomarino tra le barche della borgata. Altri uomini, messo in azione il pezzo
d’artiglieria del sottomarino stesso, iniziarono un cannoneggiamento verso la
fabbrica chimica. Dapprima tiri lunghi, e le bombe caddero nel costone di Monte
Pellegrino proprio sotto il Pizzo Volo dell’Aquila: poi tiri più precisi. Venne
colpito all’inizio il corpo di fabbrica dell’industria prospiciente sulla via
Cardinale Massaia, e successivamente alcune bombe caddero anche sul padiglione
allora destinato alla produzione della anidride solforosa; infine, fu centrata
in pieno la base della grande ciminiera che ancor oggi esiste.
Risultava evidente l’intenzione del nemico di
voler abbattere il grande comignolo che crollando, oltre ad arrecare
gravi danni a vari reparti, avrebbe paralizzato per un certo tempo il
funzionamento della fabbrica
E certamente ci sarebbero riusciti se Giuseppe Sileno, un giovane pescatore
della borgata che prestava servizio militare su navi da guerra e che si trovava
in licenza, nell’udire i primi scoppi, affacciatosi dal balcone della casa
della fidanzata, non si fosse subito reso conto che si trattava di un
sottomarino tedesco e non avesse quindi valutato il pericolo che correvano gli
abitanti dell’Arenella, i quali, già in preda al panico, avevano cominciato a
fuggire verso la montagna. Le due batterie della costa, invece,
inspiegabilmente tacevano.
Una di esse si trovava proprio sotto la torre
della tonnara, l’altra una cinquantina di metri più in là, verso Vergine Maria.
Giuseppe Sileno immediatamente corse verso le batterie dove trovò gli uomini
addetti ai pezzi, perfettamente tranquilli in quanto ritenevano che si
trattasse di una nostra unità da guerra che effettuava dei tiri per
esercitazione. Proprio quella mattina, infatti, un cacciatorpediniere aveva
eseguito lunghe evoluzioni nello specchio d’acqua antistante la costa
dell’Arenella e, quindi, gli uomini a servizio delle due batterie facilmente
erano stati tratti in inganno. E Giuseppe Sileno dovette sudare sette camicie, urlando
ed imprecando, per convincere gli addetti ai pezzi che si trattava invece di un
sottomarino tedesco.
Finalmente le batterie della costa aprirono il
fuoco.
Il sottomarino indirizzò allora qualche colpo
verso di esse, poi, ammainata la vela e richiuso il boccaporto, scomparve nelle
profondità. Di Giuseppe
Sileno nessuno allora si occupò. Si era
in tempo di guerra e non si parlava facilmente di azioni militari che per noi
avevano comportato uno smacco; ed un sottomarino tedesco che impunemente raggiungeva
e bombardava la costa siciliana lo era. Il fatto venne quindi messo a tacere ed
a poco a poco fu dimenticato perfino nella stessa borgata. Solo nel 2005 al pescatore dell’Arenella fu dedicato l’Istituto Comprensivo di via
Cardinale Massaia.
L’ingegner
Carlo Rodanò, cui si deve nel 1932 una
storia della fabbrica “Chimica Arenella”, redatta per la “Banca Commerciale
Italiana” narra: ... “E quando la sera del 31 gennaio 1918 un sommergibile
tedesco bombardò lo stabilimento, a Palermo ci si convinse che i tedeschi
avessero voluto creare un alibi al loro amico Lecerf”.
La
responsabilità dell’accaduto fu attribuita all’ex direttore tedesco, che
avrebbe fornito ai suoi connazionali le indicazioni per bombardare lo
stabilimento( che stava per essere requisito dalle autorità militari, perché vi
era il sospetto, anche su segnalazione dei servizi segreti Alleati, che
fornisse, attraverso la Svizzera, materiali chimici alla Germania) grazie a
riprese fotografiche del litorale palermitano fino a Balestrate, prima di
abbandonare improvvisamente Palermo.
In realtà, il bombardamento fu frutto di un
errore: i tedeschi proprietari dell’Arenella erano riusciti a ottenere dal proprio governo che la fabbrica fosse rispettata e in tal senso fu ordinato ai
sommergibili di non bombardarla; ma un comandante cui l’ordine non era
pervenuto poiché lontano dalla base, non esitò ad attaccarla, per la semplice
ragione che era il bersaglio più comodo fra quanti ne aveva visto fuori del
porto di Palermo. Il numero dei morti non fu mai accertato e l’unica lapide
collocata nel 1922 e ancora oggi visibile riporta solo i nomi di dieci operai
caduti combattendo su altri fronti.
Curiosamente uno di questi appare
cancellato, forse perché, dato per disperso,
fece poi ritorno.
Misteri
molto siciliani sullo sfondo di una guerra spaventosa che vide cadere oltre
55.000 isolani. Un immane battesimo del fuoco che vide i nostri nonni ventenni
diventare di colpo adulti nel più drammatico dei modi. Nominati
Cavalieri di Vittorio Veneto “soltanto” cinquant’anni dopo, scoprirono di essere
stati protagonisti ed eroi di quella che fu definita “l’ultima guerra
d’indipendenza italiana”.
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