sabato 2 ottobre 2010

La realtà liminale:costruire/decostruire continue modalità e competenze per abitare la complessità


Appare sempre più evidente come l’attuale crisi porti con sé anche la sigla di chiusura dell’economia industriale e di quella che, a lungo, abbiamo definito “post moderna”. Un lungo periodo di difficoltà economiche quale quello che ancora si prospetta (il PIL in Italia dovrebbe tornare solo tra 5 anni a quello della vigilia della crisi) sta archiviando in modo traumatico il novecento e si sta rivelando come l’incubatore di nuovi costrutti filosofici e di inedite modalità organizzative. Non vi è dubbio che dopo questa crisi (dove la parola “dopo” ha un senso molto relativo, visto che il mondo procederà di crisi in crisi come più volte preannunciato) il mondo globalizzato si ritroverà con nuovi paradigmi geopolitici, nuove leadership internazionali, nuove aggregazioni economiche e nuovi paradigmi sociali.
Si può allora dire della fase attuale come essa sia “liminale” cioè rappresentativa di una situazione confinaria rispetto all’inedito in molti settori. Una vera e propria situazione di frontiera il cui varco è aperto solo per quanti sono consapevoli che esso esista e non siano piuttosto rivolti (past oriented) al rimpianto di un passato non replicabile. Ciò vale per le economie, per le società, per i sistemi di governance pubblica e privata, per il mondo della conoscenza e soprattutto vale per le consapevolezze individuali, di genere e di ruolo ancora sostanzialmente traguardate sul secolo scorso. Ne deriva che in alcuni campi di riflessione avanzata quali quelli dell’università, della ricerca e sviluppo, dell’analisi strategica, delle scienze del management e dell’alta formazione, naturalmente “obbligati” a confrontarsi con il futuro prima di altri soggetti, si stia svolgendo una vera e propria rivoluzione culturale, pur nella esiguità di mezzi finanziari ad essi ancora oggi destinati.
Le principali caratteristiche di una realtà liminale, avvicinabile a grandi linee a fasi del passato analoghe per tipologia ma non paragonabili per portata, vastità e complessità contestuale quali la caduta dell’impero romano, la scoperta dell’America o il fenomeno dell’inurbazione del XIX secolo, possono essere raggruppate in alcuni costrutti fondamentali…
  • La liminalità conferisce ansia a individui e ad organizzazioni e sostituisce il senso del fine con quello “della fine” di un’epoca e delle relative certezze, proiettando gli attori, primari e secondari, nell’incertezza profonda e nella baumiana liquidità di valori e di prospettive; essa pone una nuova domanda di significato pur avvertendo che la risposta non sarà mai più esaustiva.
  • La liminalità, per la natura confinaria che le è propria, costringe a “guardare l’altro da sé” e a conferirgli, talvolta malvolentieri, dignità e diritto di esistenza oltre ogni semplice “tolleranza”; ciò vale per mondi, culture e sistemi di pensiero sia individuali che collettivi.
  • La liminalità, poiché come tutti i varchi presenta punti delimitati di passaggio, non consente di traghettare nel futuro nulla più che parti dell’identità, rendendo necessario l’abbandono di ciò che non solo non è più utile ma che, proiettato nel futuro, ne pregiudicherebbe la piena realizzazione; essa è dunque un passaggio a maglie strette che molto probabilmente lascerà indietro individui, territori e collettività: i “doganieri” intransigenti della liminalità sono già oggi l’interesse pubblico, ormai mondializzato e rappresentato da attori spontanei e spesso non governativi, le invalicabili condizioni di sostenibilità dello sviluppo, gli oltre 4/5 di umanità finora non considerati per la definizione di modelli di sviluppo.
  • La liminalità ha epifanie a volte eclatanti e scenografiche quali i grandi mutamenti geologici, climatici, sociali e politici e, al tempo stesso, è popolata da micro manifestazioni comportamentali del singolo e delle società, nel privato e nel pubblico, inizialmente incomprensibili perché ancora mancati di un codice semantico che le decifri e le collochi in quella che un tempo veniva definita “la temperie” della nuova epoca; essa si serve di antichi simboli in modo nuovo ed è, a sua volta, potente generatrice di simboli inediti.
Il quadro sopra definito trova impreparati individui, società ed organizzazioni che, sovente, pur sollecitati da segnali deboli, ne hanno ignorato il potenziale evolutivo preferendo restare “present oriented” quando non addirittura “past oriented”. Non è la prima volta, peraltro, che l’Umanità si lascia cogliere impreparata dal cambiamento e vi soccombe: la differenza con l’attuale situazione è che stavolta non sono mancati né la consapevolezza né il tempo per fronteggiarne gli effetti. È vero, infatti, che la crisi finanziaria non era stata prevista dagli analisti sino al 2007, ma è altrettanto vero che i segnali di cedimento e la progressiva liquidizzazione del novecento erano stati annunciati da studiosi in più campi (Hobsbawm, Bauman, Rifkin, Fukujama). Gli ammonimenti circa “il secolo breve”, “la società liquida”, “l’era dell’accesso” , la – a lungo irrisa – “ fine della storia”, pur ricchi di proposte di percorsi per preparare il passaggio alla liminalità non sono riusciti ad influire sui potenziali decisori di grandi o piccoli “cambiamenti di rotta” da porre in essere in tempo utile.
La sfida dei prossimi anni sarà dunque saper costruire/decostruire continue modalità e competenze per abitare la complessità, attestandosi sui bordi dell’inedito e acquisendo familiarità con ciò che ancora sembra non essere.

2 commenti:

  1. Loris,
    complimenti per lo stimolante spazio di riflessione che hai aperto.
    E poiché, appunto, è uno spazio “aperto”, con grande piacere vi partecipo.
    Io credo che questa realtà “liminale”, così difficilmente percepibile anche da chi ve ne è immerso, non possa che essere il portato/risultato/conseguenza inintenzionale, e certo neanche desiderato, delle infinite azioni individuali e inter-individuali degli uomini nella e con la storia.
    E allora mi chiedo: davvero le necessariamente limitate azioni intenzionali di consapevoli decisori avrebbero potuto/potrebbero/potranno governarne o anche solo indirizzarne l’evoluzione?
    O non sarà anche qui la caotica, casuale ed imprevedibile dinamica delle azioni individuali e delle loro interazioni ed inter-relazioni a portarci (o tras-portarci) al di là del limine?
    Marcello Molino

    RispondiElimina
  2. Grazie Marcello per il tuo contributo.
    Probabilmente 2 secoli di società industriale hanno sedato la capacità umana di uscire dagli schemi e di varcare i limiti.
    Ogni tappa di vera evoluzione del mondo ha avuto origine nell'iniziativa coraggiosa di pochi che hanno rischiato di guardare oltre "le colonne d'Ercole". Essi sono stati leader di cambiamento nella misura in cui sono stati seguiti e non perchè si sono autoproclamati tali.

    Vedo in giro, invece, tanta paura verso il mondo nuovo e tanti argomenti a favore di quello ormai finito e verso il quale c'è poco da rimpiangere. Sarebbe preferible cogliere invece la straordinaria opportunità che dopo secoli viene offerta alla nostra generazione ed a quelle che seguiranno. So che non è facile, ma non credo esista una strada diversa davanti a noi.

    RispondiElimina